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27 Novembre 2020

Violazione delle distanze legali, serve un mandato speciale

violazione delle distanze legali

L’amministratore non può agire per violazione delle distanze legali nei confronti del titolare del fabbricato sul fondo vicino se non in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati.

Il responso della sentenza della Corte di cassazione – II sez. civ. n. 23190 del 23/10/2020.

Vediamo la vicenda in dettaglio.

Un condominio faceva causa alla vicina che aveva edificato un fabbricato sul fondo confinante a distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge. I condomini chiedevano al Tribunale che fosse accolta la domanda di arretramento della costruzione, con condanna della vicina al risarcimento dei danni. Il Tribunale condannava la convenuta ad arretrare il proprio fabbricato dallo stabile condominiale, senza accogliere, però, la domanda di risarcimento del danno.

Violazione delle distanze legali, serve un mandato speciale

A seguito di gravame, la Corte d’Appello riformava la suddetta decisione, rigettando per intero la domanda del condominio e rilevando che erroneamente il Tribunale non aveva tenuto conto che la convenuta aveva collocato la costruzione in oggetto a norma di legge.

Il condominio proponeva, dunque, ricorso per cassazione, lamentando il mancato accoglimento della domanda di arretramento del fabbricato della convenuta e contestando il rigetto della richiesta di risarcimento danni per la violazione delle disposizioni sulle distanze legali. La vicina presentava controricorso sottolineando la mancanza di una valida autorizzazione dell’amministratore del condominio alla proposizione del ricorso da parte dell’assemblea.

L’amministratore può, quindi, agire per violazione delle distanze legali nei confronti del titolare del fabbricato sul fondo vicino anche senza un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati?

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La soluzione

La Cassazione ha dato torto ai condomini.

Secondo i giudici supremi di condominio negli edifici, la proposizione di una domanda che non sia diretta alla difesa della proprietà comune, esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore; di conseguenza i giudici supremi hanno dichiarato il ricorso dei condomini inammissibile a causa della carenza della valida autorizzazione dell’amministratore di condominio da parte dell’assemblea ai fini della proposizione del ricorso.

Del resto la Cassazione ha rilevato che nel caso in questione il condominio non aveva provveduto a sanare la suddetta carenza con la produzione dell’originaria autorizzazione oppure con un’autorizzazione a ratifica del proprio operato, conseguendone dunque l’inammissibilità del ricorso.

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Alcune considerazioni

Ai sensi dell’art 1131, comma 1, n. 4, l’amministratore deve compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio.

Attraverso l’espletamento di tale potere/dovere, l’amministratore tutela il diritto di proprietà dei condomini sui beni e gli impianti comuni, da atti o fatti compiuti da terzi (ad es. estranei al condominio) o dai condomini stessi, che possono pregiudicare o mettere in pericolo il diritto stesso.

L’amministratore, pertanto, in forza dei poteri di azione e rappresentanza processuale conferitigli dal successivo art. 1131 c.c., può agire nei confronti di chi utilizzi in proprio il bene comune e ne faccia un uso non consentito; di chi compia atti idonei a compromettere l’integrità del bene; di chi imbratti o deteriori la cosa comune; di chi turbi o minacci il pacifico godimento comune dei beni e servizi, ecc.

Non è legittimato, senza l’autorizzazione dell’assemblea, ad esperire azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere decisioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti concernenti le parti comuni dell’edificio.

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Infatti, l’azione petitoria contro un terzo, che vanta diritti sulle cose comuni, produce effetti definitivi sulla condizione giuridica di queste, per cui non può rientrare nella categoria degli atti conservativi.

Alla luce di quanto sopra si può affermare che l’azione di rivendicazione richiede un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Cass. civ., sez.II, 08/01/2015, n.40).

Allo stesso modo, secondo i giudici supremi di condominio negli edifici, la proposizione di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune, ma a rivendicare l’appartenenza al condominio di un’area adiacente al fabbricato condominiale , che si ritiene acquistata per usucapione, implicando non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Cass. civ., sez.II, 09/11/2020, n.25014).

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Del resto, l’amministratore del condominio non è legittimato neppure a stipulare il contratto d’assicurazione del fabbricato se non sia stato autorizzato da una deliberazione dell’assemblea dei partecipanti alla comunione. Infatti, la disposizione dell’articolo 1130, primo comma, numero 4), c.c., obbligando l’amministratore ad eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, ha inteso chiaramente riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile, tra i quali non può farsi rientrare il contratto di assicurazione, perché questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la suddetta norma avendo, viceversa, come suo unico e diverso fine, quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell’edificio danneggiato. (Cass. civ., sez. II, 03/04/2007, n. 8233)

Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista.

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Foto: iStock/JayLazarin

Fonte: EdilTecnico

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