È noto che, secondo la giurisprudenza[1], al momento dell’istruttoria correlata al rilascio del titolo edilizio, è compito dell’ufficio tecnico verificare che il richiedente sia munito di idoneo titolo giuridico rispetto all’immobile oggetto dell’intervento. Due recenti sentenze confermano l’orientamento in discorso, contribuendo a chiarire l’operatività di tale verifica.
Il TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, nella sent. 9 marzo 2023, n. 109, ha affermato che “Il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria. Conseguentemente, chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza ed è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio (Cons. Stato Sez. IV, 15/03/2022, n. 1827)”.
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Peraltro, secondo i giudici abruzzesi, “in sede di rilascio dei titoli abilitativi edilizi l’Amministrazione non è tenuta ad accertare funditus l’effettivo assetto dei rapporti civilistici tra i soggetti privati coinvolti, a vario titolo, da detto rilascio (titolari di diritto di proprietà, di diritti di godimento, di servitù prediali, etc.), dovendosi limitare a verificare la verosimile sussistenza in capo all’istante, in base alla documentazione prodotta, dei presupposti di legittimazione per richiedere ed ottenere il titolo richiesto, non potendo l’Amministrazione sostituirsi all’autorità giudiziaria ordinaria nell’accertamento definitivo di dette situazioni”.
Nel caso specifico, un soggetto aveva presentato una DIA, dichiarando di essere proprietario esclusivo del sottotetto oggetto di intervento; altri due soggetti, diversamente, avevano comunicato e documentato al Comune di essere comproprietarie, insieme al presentatore della DIA, del medesimo sottotetto e che non avevano concesso l’assenso all’intervento. Conseguentemente, l’ufficio tecnico aveva disposto l’annullamento della DIA. Secondo i giudici, “fermo restando che esula dal perimetro di cognizione di questo Tribunale l’accertamento dell’effettiva titolarità del diritto dominicale del vano sottotetto, l’operato del Comune che ha disposto l’annullamento della DIA deve ritenersi esente dai vizi denunciati, atteso che il ricorrente non ha fornito adeguata prova di un titolo giuridico che fondi la legittimazione attiva dell’intervento edilizio, che deve previamente sussistere in relazione alle opere da effettuare, risultando invece documentalmente dimostrato il contrario”.
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Similmente, il TAR Toscana, sez. III, nella sent. 28 febbraio 2023, n. 231, ha affermato che “L’amministrazione, pur non essendo obbligata a compiere complesse indagini giuridiche e documentali in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti terzi o a risolvere i conflitti tra privati in ordine all’assetto proprietario di un bene, è certamente tenuta a verificare la sussistenza di un idoneo titolo di godimento sull’immobile oggetto dell’intervento, da parte di colui che intende eseguirlo. In altre parole, sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ogni volta in cui tali limiti siano conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi, senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. II, 1 settembre 2022, n. 7648 e giurisprudenza ivi richiamata)”.
Nel caso specifico, si era dinanzi a due distinte proprietà, derivanti da un atto di divisione ereditaria, in forza del quale l’immobile originario era è stato materialmente diviso in due distinte unità abitative, dotate di ingressi autonomi, mediante la realizzazione di un muro posto a confine tra le due proprietà. Uno dei proprietari, in assenza e senza il permesso dell’altro, previa presentazione di una comunicazione di inizio lavori, demoliva il muro posta a divisione delle due unità abitative, realizzandovi una porta. L’altra proprietaria contestava l’accaduto, invitando il Comune ad esercitare i propri poteri di vigilanza e a reprimere gli abusi a suo dire commessi dal controinteressato.
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I giudici hanno affermato l’illegittimità dell’operatore del presentatore della CIL per l’abbattimento del muro di divisione delle proprietà e la collocazione di una porta, posto che lo stesso non avrebbe potuto disporre del bene comune (il muro) senza il consenso della comproprietaria. Secondo i giudici, infatti, l’attività edilizia svolta (creazione di un’apertura sul comune muro divisorio) non poteva essere ricondotta all’art. 1102 c.c., che consente a ciascun comproprietario di un bene comune di apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa, senza tuttavia alterarne la destinazione e impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto; è evidente, infatti, che l’apertura del varco nella parete di divisione non costituiva un intervento volto a consentire il miglior godimento della cosa comune, ma ne alterava radicalmente la specifica funzione, che era quella di rendere autonome le due distinte unità abitative e di impedire ai due comproprietari di accedere nella proprietà dell’altro. A fronte di tale evidente circostanza, il Comune avrebbe dovuto inibire l’intervento fin da subito e comunque, a seguito dell’esposto presentato dalla comproprietaria, avrebbe dovuto ordinarne l’immediata rimozione.
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[1] Ex multis, cfr.:
- TAR Lazio, Roma, sez. II quater, sent. 11 maggio 2022, n. 5855: “A fronte di un intervento edilizio che risulti soggetto al preventivo rilascio di un permesso di costruire (art. 20 DPR n. 241/90) ovvero che rientri nel novero di quelle attività che possono essere realizzate previa segnalazione certificata (artt. 22 e 23 DPR n. 380/2001), la pubblica amministrazione è sempre tenuta ad accertare, con serietà e rigore, che il soggetto interessato abbia titolo per attuare detto intervento (si veda TAR Calabria, CZ, II, 56/2019). Più precisamente, la p.a. deve accertare che l’istante sia proprietario dell’immobile oggetto dell’attività edilizia proposta e che, comunque, abbia un titolo di disponibilità tale da giustificarne la realizzazione (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III, 02 novembre 2018, n.1640; Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2018, n. 3143; sez, VI, 22 maggio 2018, n. 30487; sez, IV, 7 settembre 2016, n. 3823; sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990). Inoltre, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ogni qual volta è nota la situazione di comproprietà dell’immobile oggetto di intervento ovvero la esistenza di diritti reali di godimento sull’area di insistenza dello stesso, l’ente locale è tenuto ad accertare che vi sia l’assenso di tutti i soggetti coinvolti, senza che possano essere opposte, al fine di escludere la necessità di tale assenso, vicende sostanziali e processuali che presuppongono accurate ed approfondite indagini circa i sottesi rapporti civilistici (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 05/04/2018, n. 2121; sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4676; Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332; Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654)”;
- TAR Puglia, Lecce, sez. III, sent. 19 giugno 2020, n. 651: “Ai sensi dell’art. 11, comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire può essere rilasciato unicamente al proprietario dell’immobile o a chi ha a titolo per richiederlo e, quindi, il Comune ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 25 settembre 2014, n. 4818). Se è pur vero, per giurisprudenza pacifica, che la Pubblica Amministrazione non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (Consiglio di Stato, IV, 2 settembre 2011, n.4968; id., VI, 10 febbraio 2010, n.675), purtuttavia la stessa deve verificare in concreto i presupposti per il rilascio del titolo concessorio. Invero, la rilevanza della posizione soggettiva del richiedente e della sua relazione con il terreno da sottoporre ad intervento è riconosciuta, in modo espresso, dalla stessa normativa urbanistica, per l’esattezza dall’ art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. Inoltre, “in termini generali, la funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione … In mancanza di adeguati elementi istruttori, ritualmente acquisiti nel corso del procedimento, l’amministrazione non ha l’obbligo di verificare l’inesistenza di diritti … che limitino l’ampiezza del titolo di proprietà del richiedente. Pertanto la concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti dei terzi, non è di per sé illegittima, a meno che non sia accertato il contrasto con elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento” (Consiglio di Stato, sez. V 22 giugno 2000, n. 352). “Il controllo sulla legittimazione all’istanza del titolo abilitativo va esercitato con serietà e rigore, dovendo pertanto l’autorità pubblica accertare che l’istante sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (Consiglio di Stato, sez. IV – 25/5/2018 n. 3143). La più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/4/2018 n. 2397)”.
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