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23 Marzo 2023

Supercondominio e impianto di smaltimento acque: è bene comune

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In tema di condominio negli edifici, la situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 ss. c.c., si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

È da quel momento che nasce il condominio e deve intendersi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione pro indiviso di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio.

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Con l’avvenuta costituzione del condominio, infatti, si trasferiscono ai singoli acquirenti delle unità immobiliari anche le corrispondenti quote delle parti comuni, di cui non è più consentita la disponibilità separata a causa dei concorrenti diritti degli altri condomini, a meno che non emerga dal titolo, in modo chiaro ed inequivocabile, la volontà delle parti di riservare al costruttore originario o ad uno o più dei condomini la proprietà esclusiva di beni che, per loro struttura ed ubicazione dovrebbero considerarsi comuni.

La presunzione di comproprietà, prevista dall’art. 1117, n. 3, c.c. anche per l’impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell’impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l’attitudine all’uso ed al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 25/06/2012, n. 10584).

Naturalmente questo principio è operante anche nel caso in cui l’impianto sopra detto sia al servizio di alcuni fabbricati, cioè nell’ambito del c.d. condominio orizzontale o supercondominio.

Del resto un supercondominio nasce, di fatto, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari, essendo sufficiente che i singoli edifici di cui si compone, abbiano materialmente in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 c.c. Quindi, basta che due casseggiati abbiano in comune, ad esempio, l’impianto di scarico delle acque reflue, perché nasca un condominio complesso.

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A tale proposito merita di essere segnalata una recente decisione della Corte di Cassazione (sentenza n. 5643 del 23 febbraio 2023).

La vicenda

Nell’ambito di un complesso edilizio formato da sette villette a schiera risultanti dall’opera di frazionamento di un precedente fabbricato, i proprietari di uno degli immobili citavano i giudizio gli altri titolari delle villette per accertarsi e dichiararsi l’insussistenza di un condominio in relazione ad un impianto di smaltimento delle acque reflue e meteoriche sussistente all’interno della loro proprietà ma servente, di fatto, tutte le unità immobiliari limitrofe: in altre parole gli attori pretendevano il riconoscimento della proprietà esclusiva sul detto impianto.

Si costituirono in giudizio i convenuti chiedendo il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale chiedevano accertarsi l’esistenza di un condominio. Il Tribunale respingeva la domanda degli attori di accertamento dell’insussistenza del condominio. La Corte d’Appello accertava la natura condominiale dell’impianto di smaltimento delle acque reflue esistente all’interno del complesso, sebbene la fossa biologica fosse compresa nella proprietà esclusiva del titolare di una villetta ed il pozzetto di raccolta delle acque reflue fosse posto all’interno di una diversa proprietà esclusiva.

La decisione della Cassazione

La Cassazione ha confermato la natura di bene comune dell’impianto di smaltimento delle acque reflue. Come hanno notato i giudici supremi la presunzione di condominialità è applicabile (come ora espressamente stabilito dall’art.1117 bis c.c., introdotto dalla L. n.220 del 2012) anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all’uso o al servizio di tali edifici, ancorchè insistenti su un’area appartenente al proprietario (o ai proprietari) di uno solo degli immobili. La Suprema Corte ha ricordato che, al fine di accertare se due o più fabbricati adiacenti abbiano beni comuni, ai sensi dell’art.1117 c.c., è necessario stabilire se siano sussistenti i presupposti per l’operatività della presunzione di proprietà comune con riferimento al momento della nascita del supercondominio.

Nel caso esaminato – come ha sottolineato la Cassazione – i giudici di secondo grado hanno accertato come la fossa biologica ed il pozzetto di raccolta delle acque reflue, sebbene poste nella proprietà esclusiva, fossero destinati alla raccolta ed allo smaltimento delle acque reflue e meteoriche provenienti dalle sette unità costituenti il complesso immobiliare. Non solo. La Corte ha, altresì accertato che sia la fossa biologica che il pozzetto di raccolta erano stati realizzati dal costruttore prima della vendita delle unità immobiliari, ragione per la quale ha correttamente ritenuto che si trattasse di beni condominiali.

Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista 

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Lisa De Simone
Esperta in materia legislativa, si occupa di disposizioni normative e di giurisprudenza di interesse per il cittadino. Collabora da anni con Maggioli Editore, curando alcune rubriche on line di informazione quotidiana con particolare attenzione alle sentenze della Corte di Cassazione in materia fiscale e condominiale.

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Immagine: iStock/krzych-34

Fonte: EdilTecnico

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