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8 Settembre 2020

SCIA per cambio destinazione d’uso, il locatario può presentarla?

Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica, pubblicate la scorsa settimana; gli argomenti oggetto delle pronunce sono: SCIA per il mutamento di destinazione d’uso senza opere, il locatario può presentarla? Realizzazione di un muro in cemento, serve titolo edilizio? Quali sono le differenze fra certificato di agibilità e permesso di costruire?

E ancora: vincolo di destinazione a verde pubblico attrezzato, che natura ha? E la destinazione urbanistica di un’area a verde condominiale? Vediamo in dettaglio le sentenze.

SCIA per cambio destinazione d’uso, il locatario può presentarla?

TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 2 settembre 2020 n. 632

Il locatario può presentare la SCIA per il mutamento di destinazione d’uso senza opere

La posizione che legittima la richiesta di un titolo edilizio, sotto forma di provvedimento o di SCIA, è costituita dalla titolarità di un diritto esteso alle conseguenze dell’attività edilizia. Se dunque per realizzare una nuova costruzione è necessaria la posizione giuridica di proprietario dell’area, o quantomeno l’autorizzazione del proprietario, per interventi minori sono sufficienti posizioni giuridiche meno ampie.

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In questo quadro, la posizione di locatario di un immobile commerciale è senz’altro idonea a conseguire quei titoli edilizi che comportano trasformazioni contenute e reversibili dell’immobile, destinate a esaurirsi con la scadenza del contratto; tra gli interventi ammissibili rientra, quindi, anche il mutamento di destinazione d’uso senza opere.

Realizzazione di un muro in cemento, serve titolo edilizio?

Consiglio di Stato, sez. II, sent. 31 agosto 2020 n. 5321

Serve il permesso di costruire per la realizzazione di un muro in cemento con la parte soprastante in paletti e rete metallica avente lunghezza di m. 6,90 circa e per la posa di un cancello avente larghezza di m. 3,45 circa, connesso al predetto muro in calcestruzzo con soprastanti pali in ferro

Serve il permesso di costruire per la realizzazione di un muro in cemento con la parte soprastante in paletti e rete metallica avente lunghezza di m. 6,90 circa e per la posa di un cancello avente larghezza di m. 3,45 circa, connesso al predetto muro in calcestruzzo con soprastanti pali in ferro.

Per dimensioni morfologiche, modalità costruttive e materiali impiegati le opere esulano dall’ambito delle recinzioni la cui realizzazione non è subordinata al rilascio del permesso di costruire: ossia dalle recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, quali quelle consistenti nella mera apposizione di rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.

Paradigmaticamente, s’afferma che la concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie; e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo jus excludendi alios: viceversa, occorre, il titolo edilizio, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2017, n. 5908; Id., sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8600).

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Quali sono le differenze fra certificato di agibilità e permesso di costruire?

Consiglio di Stato, sez. II, sent. 31 agosto 2020 n. 5319 

Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti; il titolo edilizio è invece finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche

Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti; il titolo edilizio è invece finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.

L’art. 25 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, condiziona il rilascio del certificato di agibilità – per altro auto-dichiarato – non solo all’aspetto igienico-sanitario ma anche alla conformità edilizia dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato.

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Vincolo di destinazione a verde pubblico attrezzato, che natura ha?

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 2 settembre 2020 n. 9306

Il vincolo di destinazione a verde pubblico attrezzato ha carattere conformativo, funzionale all’interesse pubblico generale

È principio generale quello secondo il quale “ove con l’atto di pianificazione si provveda alla zonizzazione dell’intero territorio comunale, o di una sua parte, sì da incidere su di una generalità di beni, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui essi ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo assume carattere conformativo ed influisce sulla determinazione del valore dell’area espropriata, mentre, ove si imponga un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, il vincolo è da ritenersi preordinato all’espropriazione e da esso deve prescindersi nella stima dell’area” (Cassazione civile, sez. I, 09/01/2020, n. 207).

I vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore generale per attrezzature e servizi, fra i quali rientra ad esempio il verde pubblico attrezzato, realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato, hanno carattere particolare, ma sfuggono allo schema ablatorio e alle connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività fra indennizzo e durata predefinita, non costituendo vincoli espropriativi, bensì soltanto conformativi, funzionali all’interesse pubblico generale (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 21/01/2020, n. 476; Consiglio di Stato, sez. VI, 30/01/2020, n. 783).

In punto di classificazione delle previsioni urbanistiche, secondo la classica distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi, il Consiglio di Stato ha, poi, avuto modo di evidenziare che il concetto di “limiti comportanti la totale inutilizzazione” va enucleato in base alla insuperata giurisprudenza costituzionale, in materia di c.d. espropriazione di valore (C. Cost., sentenze 20 gennaio 1966 n. 6 e 29 maggio 1968 n. 55), che indica il criterio per discernere le ipotesi in cui l’amministrazione esercita sui beni di proprietà privata un potere conformativo (come tale, non indennizzabile), da quelle in cui, al contrario, esercita un potere sostanzialmente ablatorio (Consiglio di Stato, sez. V, n. 3234 del 2013; sez. IV, n. 9372 del 2010).

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Destinazione urbanistica di un’area a verde condominiale, che natura ha?

TAR Puglia, Bari, sez. III, sent. 4 settembre 2020 n. 1131

La destinazione urbanistica di un’area a verde condominiale non assume la natura di vincolo ablatorio

La destinazione urbanistica di un’area a verde condominiale non assume la natura di vincolo ablatorio in quanto, pur implicando l’inedificabilità dell’area e pur impedendo al proprietario di utilizzarla, non è preordinata all’esproprio (in termini, T.A.R. Venezia, sez. I, 26/03/2018, n.349), essendo piuttosto finalizzata a garantire la presenza di una zona verde al servizio dei fabbricati esistenti.

Sicchè, la destinazione a verde condominiale impressa ai suoli oggetto di causa non soggiace alla decadenza derivante dal decorso del termine di efficacia stabilito dall’art. 17 Legge urbanistica.

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Foto: iStock/Warchi

Fonte: EdilTecnico

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