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28 Luglio 2020

SCIA, è sufficiente per un cambio di destinazione d’uso? 

Per l’ultima rassegna di sentenze (prima della pausa estiva) di materia edilizia e urbanistica pubblicate la scorsa settimana abbiamo scelto: SCIA inesatta o incompleta, il potere inibitorio ha vincoli temporali? E rimanendo in tema di SCIA: è sufficiente per un cambio di destinazione d’uso?

Altri temi analizzati oggi sono: cambio destinazione d’uso da garage a residenza senza permesso, quali conseguenze? Distanza tra pareti finestrate, la presenza di un portico preclude l’applicabilità del DM n. 1444/1968? Abusi edilizi, a quale momento è riferito il regime sanzionatorio?

SCIA, è sufficiente per un cambio di destinazione d’uso?

TAR Marche, sez. I, sent. 20 luglio 2020, n. 467

Se è vero che un mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito, a condizione che, prima e dopo il mutamento, si rimanga all’interno della stessa categoria funzionale, si giunge alla conclusione che, purché si rimanga nella stessa categoria funzionale, è possibile il cambio di destinazione d’uso attraverso una SCIA

Ai sensi dell’art. 23-ter (Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante) del D.P.R. 06/06/2001, n. 380, “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.

(…) Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”.

Leggi: Lavori edilizi: quando serve CIL, CILA o SCIA (e quando nulla)

La giurisprudenza ha avuto cura di rilevare che “l’art. 23-ter del D.P.R. n. 380 del 2001 (Testo unico dell’edilizia) individua i mutamenti nella destinazione d’uso di un immobile da ritenere urbanisticamente rilevanti e che pertanto necessitano di uno specifico titolo abilitativo edilizio. Quindi, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati a una diversa categoria funzionale tra quelle residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale” (T.A.R. Puglia Bari Sez. III, 02/03/2020, n. 346).

E ancora, “se è vero che un mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito, a condizione che, prima e dopo il mutamento, si rimanga all’interno della stessa categoria funzionale, ulteriormente coordinando sul piano ermeneutico la portata dei segmenti dispositivi degli artt. 22 e 23-ter d.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) si giunge alla conclusione che, purché si rimanga nella stessa categoria funzionale, è possibile il cambio di destinazione d’uso attraverso una SCIA” (T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 12/07/2017, n. 1773).

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SCIA inesatta o incompleta, il potere inibitorio non ha limiti temporali

In presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il potere di inibire l’attività comunicata

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 21 luglio 2020 n. 937

A seguito della presentazione della SCIA, il decorso del tempo determina il consolidamento del titolo, con conseguente necessità della sua preventiva rimozione, in vista dell’assunzione di iniziative sanzionatorie, è altrettanto vero che, per ius receptum, presupposto indefettibile perché la SCIA possa essere produttiva di effetti è la veridicità delle dichiarazioni e la completezza della documentazione a suo corredo; cosicché, in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il potere di inibire l’attività comunicata (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18 giugno 2014, n. 1601; TAR Campania, Napoli, sez. II, 25 luglio 2016, n. 3869; sez. VII, 10 gennaio 2019, n. 143; TAR Liguria, Genova, sez. I, 10 maggio 2019, n. 436).

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Cambio destinazione d’uso da garage a residenza senza permesso, quali conseguenze?

TAR Lazio, Roma, sez. II quater, sent. 22 luglio 2020 n. 8588

I mutamenti di destinazioni di uso, ancorché senza opere, da “garage” a “residenza” e da “deposito agricolo” a “residenza”, sono qualificabili in termini di variazioni essenziali e legittimano l’adozione della più grave delle sanzioni edilizie, ossia quella demolitoria/acquisitiva

I mutamenti di destinazioni di uso, ancorché senza opere, da “garage” a “residenza” e da “deposito agricolo” a “residenza”, sono qualificabili in termini di variazioni essenziali ex art. 23 ter e 32 D.P.R. n. 380/2001, giacché comportanti l’assegnazione delle relative unità immobiliari ad una diversa categoria funzionale oltre che un evidente aggravio del carico urbanistico ex D.M. 2 aprile 1968.

Tali mutamenti determino la realizzazione di un manufatto totalmente diverso, per cubatura, superfici, destinazioni di uso, sagoma e prospetti, da quello assentito, così legittimando l’adozione della più grave delle sanzioni edilizie, ossia quella demolitoria/acquisitiva di cui all’art. 31 D.P.R. n. 380/2001 (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 12/12/2019, n.8454; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18/09/2019, n. 11065; TAR Campania, Napoli, II, 10/12/2018, n. 7052).

Sul tema: Abuso edilizio su area demaniale, la demolizione è certa e immediata?

Distanza tra pareti finestrate, la presenza di un portico preclude l’applicabilità del DM n. 1444/1968?

TAR Liguria, sez. I, sent. 24 luglio 2020 n. 527

La norma dell’art. 9 comma 1 n. 2 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, secondo la quale per gli edifici di nuova costruzione deve osservarsi la distanza minima di 10 m. dalle pareti finestrate degli edifici antistanti, non si applica quando di fronte all’edificio in costruzione si trova un portico aperto

L’art. 9 d.m. 2 agosto 1968 n. 1444 stabilisce: “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: …omissis… 2) 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; …omissis…”

La ratio della norma è stata ravvisata nell’esigenza di evitare la formazione intercapedini dannose per la salute. Alla luce del tenore letterale della disposizione risulta evidente che un porticato, essendo aperto e non presentando “pareti”, esula dal campo di applicazione della norma.

Il porticato, infatti, non impedisce la circolazione dell’aria e della luce di talchè non appare riconducibile, neppure analogicamente, alla previsione dell’art. 9 d.m. 1444/68.

In questo senso si è espressa la giurisprudenza. La norma dell’art. 9 comma 1 n. 2 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, secondo la quale per gli edifici di nuova costruzione deve osservarsi la distanza minima di 10 m. dalle pareti finestrate degli edifici antistanti, non si applica per analogia quando di fronte all’edificio in costruzione si trova un portico aperto. (CGA 13 ottobre 1999 n. 450).

Leggi anche: Chiusura porticato, serve il permesso di costruire? In quale caso?

Abusi edilizi, a quale momento è riferito il regime sanzionatorio?

TAR Toscana, sez. III, sent. 24 luglio 2020 n. 969

Il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, non già quello in vigore all’epoca di realizzazione dell’abuso

Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, non già quello in vigore all’epoca di realizzazione dell’abuso.

Invero, la natura ripristinatoria della sanzione demolitoria, finalizzata alla rimessa in pristino e ad eliminare le opere abusive, impedisce di ascriverla al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività (Cons. Stato, VI, 25.5.2020, n. 3304; TAR Liguria, I, 26.11.2012, n. 1503).

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In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Foto: iStock/Deagreez

Fonte: EdilTecnico

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