Oggi apriamo la rassegna di sentenze settimanale con questo tema: quale titolo edilizio serve per cambiare destinazione d’uso a un sottotetto e farlo diventare abitazione? A seguire: allacciamento privato alla rete fognaria, è opera di urbanizzazione scomputabile? Permesso in sanatoria, il silenzio significa rigetto?
E ancora: fascia di rispetto dagli argini dei corsi d’acqua, quali regole? Il vincolo stradale comporta divieto di costruzione? Vediamo in dettaglio ogni tema.
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Ristrutturazione, permesso per trasformare il sottotetto in abitazione
TAR Liguria, sez. I, sent. 15 aprile 2021 n. 341
Il cambio di destinazione d’uso di un sottotetto da locale di sgombero in locale abitabile, realizzato in un immobile in zona A, con inserimento di impianti (idrico, elettrico, etc.) richiesti dalle nuove esigenze abitative, pareti divisorie ed una nuova distribuzione interna, rientra tra gli interventi di ristrutturazione, assentibile mediante permesso di costruire o SCIA alternativa
Come è noto, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c) del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), per interventi di restauro e di risanamento conservativo si intendono “gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”; ai sensi della successiva lett. d), gli interventi di ristrutturazione edilizia sono invece quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
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Come si vede, il mutamento di destinazione d’uso può essere indifferentemente conseguito con i due tipi di intervento: ciò che fa la differenza è la finalità dell’intervento, che nel caso del restauro e risanamento è quello di conservare l’organismo edilizio rispettandone gli elementi tipologici, formali e strutturali (mediante il solo ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio e l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso), mentre nel caso della ristrutturazione è quello di trasformare l’organismo edilizio di partenza in uno in tutto o in parte diverso dal precedente (cfr. Cons. di St., IV, 14.7.2015, n. 3505; id., V, 12.11.2015, n. 5184).
Di conseguenza, il cambio di destinazione d’uso di un sottotetto da locale di sgombero in locale abitabile, realizzato in un immobile in zona A, con inserimento di impianti (idrico, elettrico, etc.) richiesti dalle nuove esigenze abitative, pareti divisorie ed una nuova distribuzione interna, rientra tra gli interventi di ristrutturazione, assentibile mediante permesso di costruire (art. 10 comma 1 lett. c DPR n. 380/2001) o SCIA alternativa ex art. 23 DPR n. 380/2001.
Allacciamento privato alla rete fognaria, è opera di urbanizzazione scomputabile?
TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 14 aprile 2021 n. 927
Un allacciamento privato alla rete fognaria non è un’opera di urbanizzazione scomputabile, non essendo un’opera di interesse indifferenziato per gli utenti ma, al contrario, pertinente ad un solo stabile, con la conseguenza che il relativo costo di realizzazione non può essere assunto dalla collettività tramite il meccanismo dello scomputo degli oneri
Le opere pubbliche di urbanizzazione, anche quelle realizzate a cura e a spese del titolare del permesso di costruire, sono tali qualora rispondano al requisito oggettivo di soddisfare bisogni dell’intera collettività insediata nella zona coinvolta dagli interventi e non asservite alla sola costruzione del privato che ne ha curato l’esecuzione.
Dal requisito oggettivo consegue quello soggettivo, per il quale le opere devono essere destinate al patrimonio del Comune, allo scopo di preservarne la loro funzione collettiva.
Come ha chiarito condivisibile la giurisprudenza, non è scomputabile il costo di opere di urbanizzazione che soddisfino un interesse privato, dovendo invece trattarsi di opere preordinate alla fruizione collettiva indifferenziata ed alla soddisfazione di interessi generali (Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1443; idem, 13 settembre 2018, n.5372).
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Tanto premesso, un allacciamento privato alla rete fognaria non è un’opera di urbanizzazione scomputabile, non essendo un’opera di interesse indifferenziato per gli utenti ma, al contrario, pertinente a un solo stabile, con la conseguenza che il relativo costo di realizzazione non può essere assunto dalla collettività tramite il meccanismo dello scomputo degli oneri.
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Permesso in sanatoria, il silenzio significa rigetto?
TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 15 aprile 2021, n. 942
Il silenzio sulla richiesta di rilascio del permesso in sanatoria equivale a rigetto
L’art. 36, comma 3, del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) stabilisce che, in difetto di provvedimento espresso nel termine di sessanta giorni dalla richiesta di sanatoria, la stessa si ha per rigettata.
Secondo quanto già chiarito dalla giurisprudenza, il silenzio in parola ha valore di silenzio significativo (v., Tar Salerno, 20.7.2020, n.924; Tar Roma, 10.4.2020, n.3886; Tar Salerno, 7.10.2020, n.1347).
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Fascia di rispetto dagli argini dei corsi d’acqua, quali regole?
TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 15 aprile 2021 n. 928
Il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua ha carattere legale e inderogabile e, conseguentemente, le opere costruite in violazione di tale divieto sono insuscettibili di sanatoria
Il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua, previsto dalla lett. f) dell’art. 96, del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, è informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici ed ha carattere legale e inderogabile: ne deriva che le opere costruite in violazione di tale divieto ricadono nella previsione dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 e sono pertanto insuscettibili di sanatoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5619 e Sez. II, 24 giugno 2020, n. 4052).
Conseguentemente, non può validamente operare il meccanismo del silenzio assenso di cui alla legge n. 724/1994, invocato in ricorso, che presuppone la sussistenza dei requisiti sostanziali – oggettivi e soggettivi – per assentire il condono, non essendo in alcun modo consentito di ottenere, per via tacita, il bene della vita non altrimenti spettante in ipotesi di provvedimento espresso (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 14 dicembre 2020, n. 1946).
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Il vincolo stradale comporta divieto di costruzione?
TAR Toscana, sez. III, sent. 12 aprile 2021 n. 504
Il vincolo stradale si traduce in un divieto assoluto di costruzione
Il vincolo stradale, per giurisprudenza costante, si traduce in un divieto assoluto di costruzione, correlato all’esigenza di assicurare che le aree contigue all’arteria stradale siano utilizzabili per l’esecuzione di lavori, ivi compresi quelli di ampliamento, senza le limitazioni derivanti dalla presenza di fabbricati o manufatti.
Agli abusi edilizi realizzati nella fascia di rispetto trova perciò applicazione l’art. 33 della Legge n. 47/1985, che non prevede la possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore all’esecuzione (per tutte, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 30 giugno 2014, n. 3283).
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