Per costante giurisprudenza, ribadita recentemente dal Consiglio di Stato, sez. VII, nella sent. 15 gennaio 2024, n. 490, le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate.
In particolare, l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e mirata[1].
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Quando è richiesta una motivazione rafforzata
Come già affermato in passato dal Consiglio di Stato, “le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale. Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute”[2].
Le uniche, tassative ipotesi (individuate dalla consolidata giurisprudenza[3] in base alle argomentazioni elaborate dall’Adunanza Plenaria n. 24 del 1999) in cui è richiesta una motivazione rafforzata sono le seguenti:
- superamento degli standard minimi;
- presenza di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, valido ed efficace;
- giudicato di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento sulla relativa istanza;
- destinazione di un fondo totalmente intercluso a zona agricola.
Occorre osservare che la motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’amministrazione comunale[4].
Ad esempio, è stato ritenuto legittimo il mutamento dell’inquadramento di un’area da “agricola produttiva” ad “area periurbana in contesto rurale”, motivato dalla presenza di un opificio: data la natura dell’atto generale del PUC, la motivazione adottata è sufficiente, in quanto tiene conto del tipo di edificazione, e adotta un inquadramento dell’area nel PUC funzionale ad assicurare la continuazione dell’utilizzo dell’opificio[5].
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Ancora, è stato precisato[6] che le scelte di pianificazione non richiedono una motivazione puntuale, che ponga in comparazione gli interessi pubblici perseguiti dall’ente pianificatore con quelli confliggenti dei privati. Ed infatti, posto che gli atti di pianificazione urbanistica, in quanto contrassegnati da ampia discrezionalità, non richiedono una particolare motivazione, conformemente – del resto – all’amplissima previsione di cui al comma 2 dell’articolo 3 della Legge n. 241/1990, ne consegue che, in vista dell’adozione di atti di pianificazione, incombe sull’amministrazione l’onere di valutare in modo adeguato il complesso delle circostanze e dei presupposti sottesi all’esercizio della pianificazione, attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e abnormità[7].
Ma una volta che i principi generali della pianificazione siano stati correttamente delineati e impostati, non grava poi sull’amministrazione l’onere di motivare ulteriormente le statuizioni microsettoriali relative a ciascuna posizione individuale, posto che, laddove si opinasse in tal senso, l’attività di pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali[8].
I casi esclusi: alcune ipotesi tratte dalla giurisprudenza
Al di fuori di tali ipotesi, quindi, la giurisprudenza ha sempre ritenuto insussistente un’ipotesi di legittimo affidamento e della conseguente necessità di una motivazione rafforzata; ad esempio, tali situazioni non sono state rinvenute:
- nel caso di mutamento in assenza dell’avvio, debitamente formalizzato, di una operazione di riqualificazione edilizia o urbanistica o della intervenuta approvazione di un piano attuativo[9];
- in capo a chi ha ottenuto un’autorizzazione paesaggistica alla costruzione di una villetta, non avendo, tale provvedimento, alcun rilievo dal punto di vista edilizio, non facendo insorgere alcuna aspettativa qualificata al rilascio del titolo né alla modificazione della destinazione urbanistica dell’area[10]; a maggior ragione, alcuna aspettativa può rinvenirsi nel caso in cui, pur avendo ottenuto l’autorizzazione paesaggistica, l’interessato non ha mai chiesto il titolo edilizio diretto né presentato un piano attuativo;
- nel caso della mera predisposizione di una bozza di “Accordo di Primo Livello”[11];
- in capo al proprietario per il solo fatto di aver presentato dapprima una domanda di permesso di costruire e poi una istanza di piano convenzionato, progetti rispetto ai quali gli uffici non avevano mai espresso alcuna manifestazione di adesione[12].
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
Consigliamo
[1] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 3 novembre 2008, n. 5478.
[2] Consiglio di Stato, sent. 8 giugno 2011, n. 3497.
[3] Cfr., ex multis: Consiglio di Stato, sez. II, sent. 10 marzo 2021, n. 2056; sent. 16 dicembre 2021, n. 8383; sez. IV, sent. 2 novembre 2022, n. 9481; TAR Umbria, sent. 24 gennaio 2020, n. 28; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 1° settembre 2020, n. 627; sent. 14 ottobre 2020, n. 703; sent. 15 marzo 2021, n. 246; sent. 2 settembre 2021, n. 780; sez. II, sent. 10 marzo 2022, n. 238; sent. 11 novembre 2022, n. 1119; TAR Friuli Venezia Giulia, sent. 5 luglio 2022, n. 307; TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 28 giugno 2023, n. 1581; TAR Marche, sez. I, sent. 4 marzo 2023, n. 131.
[4] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 26 marzo 2014, n. 1459.
[5] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 27 gennaio 2023, n. 197.
[6] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 18 maggio 2020, n. 3163; sent. 4 maggio 2020, n. 2824; sez. IV, sent. 3 febbraio 2020, n. 844; sent. 25 gennaio 2023, n. 856.
[7] TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 28 marzo 2022, n. 3516.
[8] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 23 maggio 2017, n. 2403.
[9] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 13 dicembre 2023, n. 3029.
[10] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 24 aprile 2023, n. 1003.
[11] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 29 novembre 2021, n. 2633.
[12] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 15 aprile 2020, n. 632.
Immagine: iStock/Francesco Scatena