Secondo la giurisprudenza “La destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione”[1].
Il mutamento di destinazione d’uso continua a rappresentare un argomento di contenzioso fra cittadini e P.A.: alcune recenti sentenze ne danno conferma concreta e contribuiscono a chiarire meglio l’operatività di tale istituto.
[1] Cass. civ., sent. 26 giugno 2018, n. 40678.
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Modifica destinazione uso: norma di riferimento
Come è noto, la norma di riferimento rimane l’art. 23-ter del Testo Unico Edilizia[1], secondo cui:
“1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.
2. La destinazione d’uso dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis.
3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.”
[1] DPR n. 380/2001.
Modifica destinazione uso e titoli edilizi necessari
Da un punto di vista pratico, l’aspetto più interessante è l’individuazione del titolo edilizio necessario per il passaggio da una categoria funzionale ad un’altra; a tal proposito, segnaliamo due recenti sentenze riguardanti la modifica da locali accessori a vani residenziali.
Da locali accessori a vani residenziali: sentenza del Tar Lazio, Roma
Il TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, nella sent. 19 febbraio 2024, n. 3288, ha ricordato che per il cambio di destinazione d’uso di locali accessori in vani ad uso residenziale è necessario il permesso di costruire.
I giudici hanno richiamato la giurisprudenza del passato secondo cui “Nell’ambito di una unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi «accessori » che, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire: autorimesse, cantine e locali di servizio rientrano, di norma, in questa categoria. Perciò non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage, di un magazzino o di una soffitta in un locale abitabile; senza considerare i profili igienico-sanitari di abitabilità del vano, in ogni caso si configura, infatti, un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire. Quindi, deve ritenersi che il cambio di destinazione d’uso tra locali accessori e vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire e ciò indipendentemente dall’esecuzione di opere”[1].
[1] Ex multis, TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. 14 maggio 2018, n. 742.
Da locali accessori a vani residenziali: sentenza del Tar Campania, Salerno
Anche il TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 21 febbraio 2024, n. 475, si è espresso sul mutamento rilevante della destinazione d’uso di un locale in origine adibito a sgombero e deposito in un’unità a precisa destinazione abitativo residenziale (cucina, bagno e camera da letto).
Ribadendo un proprio orientamento, i giudici hanno ricordato che il mutamento di destinazione di un volume o di una superficie non residenziale in superficie e/o volumetria abitabile, integra gli estremi del mutamento d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse; ciò crea di per sé un aggravio del carico urbanistico di zona, per il quale è necessario premunirsi, laddove la normativa urbanistica locale lo consenta, del permesso di costruire, ai sensi dell’artt. 23-ter e dell’art. 32 del Testo Unico Edilizia[1].
[1]TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 7 luglio 2020, n. 848.
Modifica destinazione uso da locale accessorio ad abitabile: serve permesso di costruire
Ed invero, per giurisprudenza dominante, nell’ambito di un’unità immobiliare ad uso residenziale devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi cd “accessori” i quali, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire.
Trattasi in particolare di autorimesse, cantine, depositi, magazzini, locali di servizio a vario titolo nonché, per gli ultimi piani, di soffitte e sottotetti; ne deriva che la trasformazione in unità residenziali, idonee per i diversi fini propriamente abitativi, è un intervento edilizio rilevante, solo ove si consideri l’aggravio sul carico urbanistico complessivo, a tacere dei profili igienico-sanitari di abitabilità del vano.
L’effetto di questi interventi è quindi di ampliare la superficie residenziale e la relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire. Per le considerazioni sopra svolte, il cambio di destinazione d’uso di locali accessori in vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico complessivo, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a) del Testo Unico Edilizia, ciò a prescindere dall’esecuzione materiale di opere[1].
[1] TAR Campania, Salerno, sez. I, 14 maggio 2018, n. 742.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it