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6 Febbraio 2024

Legittimità immobili ante 1967: Comune valuta documenti, presentando controprova in caso di inidoneità

Una delle novità più importanti, tra quelle recenti, che sono apparse nel panorama normativo italiano in tema urbanistico è senz’altro l’inserimento nel testo unico dell’edilizia (DPR 6 giugno 2001 n°380) della definizione di stato legittimo, affidata all’art. 9 bis comma 1 bis. Di questa novità ho avuto modo più volte di sottolinearne da un lato l’importanza ma anche, dall’altra, l’accortezza che si è avuta nel tramutare in legge quelle che erano già delle prassi amministrative consolidate. Ad esempio, uno degli aspetti più delicati, è quello relativo ai documenti tecnici da utilizzare quale prova di legittimità in tutti quei (non rari) casi in cui non si trova il progetto edilizio di originaria costruzione.

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Perché il progetto non si trova?

I casi in cui il progetto non si trova possono distinguersi in due grandi famiglie: i casi in cui il progetto non era proprio necessario, e quelli in cui era necessario, fu presentato, ma non è più reperibile.

Nei primi, la prassi amministrativa prima, e la definizione di stato legittimo poi, indicano che si può fare riferimento a qualunque documento che abbia una valenza pubblicistica o provenga da archivi che possono attestare la veridicità della fonte, quali:

  • il catasto;
  • le fotografie aeree o storiche;
  • gli atti giuridici registrati;
  • la documentazione tecnica proveniente da altri adempimenti amministrativi eventualmente necessari per la costruzione (ad esempio le zone sismiche o le aree vincolate).

In questi casi, però, il buon tecnico deve fare attenzione ad accertarsi, prima di ogni altra cosa, che effettivamente il fabbricato si trovi all’interno di aree in cui, alla presunta epoca di costruzione, effettivamente non fosse già necessario dotarsi di una licenza edilizia: occorre ricordare difatti che la legge fondamentale urbanistica n°1150/42 stabilì che “nei centri abitati e ove esista il piano regolatore comunale” correva l’obbligo di dotarsi di una licenza edilizia prima di dare corso a nuove costruzioni, dunque dal 1942 in poi in tutto il territorio nazionale vi erano de facto zone in cui la licenza era obbligatoria. La legge 1 settembre 1967 n°765 meglio nota come legge Ponte ha poi modificato la 1150/42 estendendo l’obbligo di licenza indistintamente a tutto il territorio comunale, rendendo di fatto tutto il territorio italiano soggetto a preventiva licenza: ne consegue che dopo il 1 settembre 1967 qualunque oggetto edilizio che non ha una licenza può essere ritenuto abusivo, mente prima di tale data, ogni edificio o presunta difformità deve essere prima confrontata con l’effettiva epoca di realizzazione e con il fatto che potrebbe trattarsi di opere eseguite prima che venisse a nascere l’obbligo di dotarsi della preventiva autorizzazione.

A ciò si aggiunga il fatto che molti comuni si erano già dotati anche prima del 1942 di regolamenti edilizi (generalmente collegati ai piani regolatori, perché in principio i regolamenti edilizi spesso, ma non sempre, altro non erano che le norme tecniche di attuazione del piano regolatore) che imponevano l’obbligo di ottenere una licenza preventiva prima di edificare, sicché ogni Comune ha una sua specifica “storia urbanistica” che deve essere conosciuta per poter indirizzare correttamente le ricerche dei documenti che attestano lo stato legittimo.

Documenti legittimità immobile ante 1967: la sentenza TAR Sicilia n°22 del 3 gennaio 2024

Richiamato quanto sopra, la sentenza TAR Sicilia n°22 del 3 gennaio 2024, inserendosi proprio nel tema della documentazione alternativa per l’attestazione dello stato legittimo, fornisce un punto di vista interessante, riguardo non tanto alla valenza della documentazione in sé, ma a come e con quale forza il Comune chiamato ad analizzarla deve darne peso.

La questione affrontata dai Giudici Amministrativi siciliani, in estrema sintesi, è la seguente: un manufatto posto in zona vincolata viene indirizzato di un atto di disciplina edilizia che prevede la demolizione di alcune porzioni, ritenute illegittime dal Comune perché in assenza di titolo edilizio. Il proprietario insorge contro l’ordine di demolizione proponendo diverse lamentele in ordine a presunte violazioni di legge da parte dell’ente amministrativo, tra cui una che, secondo il TAR, coglie nel segno.

In particolare, i proprietari si lamentano del fatto che il Comune non ha tenuto conto di una serie di documenti che sono stati forniti per dimostrare la risalenza di almeno parte dell’edificio a prima del 1 settembre 1967: il TAR, nel ricordare che l’onere della prova spetta sempre al proprietario, indica che l’amministrazione è comunque tenuta a valutare la documentazione fornita e, laddove decidesse di considerarla non idonea a legittimare il fabbricato, deve almeno darne una compiuta ed attenta contro-analisi. Sul punto è utile riportare un passaggio della sentenza citata:

“Pur senza spingersi al punto da ammettere una inversione dell’onere della prova in capo all’amministrazione comunale il Giudice d’Appello, ha dunque evidenziato come qualora la parte onerata abbia fornito sufficienti elementi probatori a sostegno delle proprie deduzioni, via via qualificati come “non implausibili” (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2022 n. 996), ovvero “dotati di alto grado di plausibilità” (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 luglio 2020 n. 4833), pure ove non sia raggiunta la certezza processuale sulla datazione delle opere in contestazione, spetta alla parte pubblica fornire elementi di prova contraria”.

Documenti legittimità: l’amministrazione deve valutarli ed eventualmente fornire una “contro prova”

Il principio rafforzato dalla sentenza dunque è che, nel ribadire che è il privato che deve fornire i documenti utili a dimostrare la legittimità dell’immobile, soprattutto laddove questa debba essere sostenuta con documenti che non sono di natura prettamente tecnica (sia perché l’area non era soggetta ad obbligo di licenza, sia perché non si trova più il progetto rilasciato all’origine, ma vi sia chiara prova del fatto che è esistito), l’amministrazione è tenuta sempre a valutarli e, nel caso in cui li ritenga non plausibili, è tenuta a fornire una “contro prova” o almeno una ampia giustificazione circa i motivi per cui i documenti non fornirebbero base di legittimità.

Questa sentenza è sicuramente importante perché va a bilanciare il diritto del privato con gli obblighi di repressione degli abusi della Pubblica Amministrazione, in quei casi in cui la documentazione alla base dello stato legittimo non provenga da un progetto edilizio.

Nello specifico caso, la prova dell’esistenza di alcuni vani contestati come abusivi dal Comune è contenuta in dei rogiti notarili tutti risalenti a prima del 1967 in cui era presente la descrizione di dei vani che sembrano riferirsi con sufficiente certezza, o almeno con elevata probabilità, a quelli contestati.

Buon senso nelle delicate questioni urbanistiche

Certamente si può avere un legittimo dubbio che una semplice descrizione di volumi contenuta in dei rogiti notarili degli anni trenta e cinquanta possa fornire una solidissima base di legittimità, ma di questo il TAR ne dà chiara evidenza: nel passaggio che viene riportato più sotto si evidenzia come i giudici indicano non come assoluta la certezza della prova, ma, almeno, come “non implausibile”. La sintesi di questa sentenza potrebbe essere uno sprone ad usare sempre buon senso nelle delicate questioni urbanistiche, sia se si è il privato o da tecnici si lavora per un privato, sia se si è la pubblica amministrazione: nel primo caso, è doveroso un estremo scrupolo nel ricercare ed analizzare la documentazione di legittimità; nel secondo, i documenti forniti devono essere letti con la dovuta cura e, laddove vengano ritenuti non confacenti, occorre descrivere con grande perizia i motivi per cui si ritiene dovuta l’azione repressiva.

La sentenza TAR citata, nel merito di quanto detto poc’anzi, così recita:
 
“In conclusione, con esclusivo riferimento ai ridetti manufatti adiacenti al cortile interno (tre camere un bagno ed un ripostiglio), si ritiene che parte ricorrente effettivamente abbia offerto all’attenzione del Collegio elementi non implausibili in ordine all’epoca di realizzazione dei manufatti in questione e che, pertanto, pur non essendo stata raggiunta la certezza processuale sulla datazione delle opere in contestazione, sarebbe spettato alla parte pubblica fornire elementi di prova contraria idonei a supportare il proprio assunto, alla base dell’impugnato ordine demolitorio, in merito all’abusività delle opere sanzionate. In mancanza di tali elementi il provvedimento ripristinatorio deve essere annullato per difetto di istruttoria, risultando carente un adeguato accertamento del presupposto provvedimentale, dato dalla necessità del previo titolo abilitativo a legittimazione dell’intervento edilizio sanzionato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 17 gennaio 2023 n. 606 e, da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 novembre 2023 n. 9612)”.

Fonte: EdilTecnico

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