Acquistare crediti fiscali per pagare le imposte. Un’operazione tanto più conveniente quanto più basso è il prezzo di acquisto. Ma il vantaggio economico che si ricava è a sua volta soggetto a tassazione?
Un interrogativo che si sono posti in molti, ora che sono attive diverse piattaforme private per la cessione dei crediti a partire da quelli di Superbonus, che consentono di effettuare acquisti a tutti i soggetti interessati.
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I dubbi sono stati risolti una volta per tutte dall’Agenzia delle Entrate con la riposta 472 del 30 novembre scorso che apre a nuove possibilità di effettuare operazioni di questo tipo per tutti coloro che non hanno redditi da imprese e non hanno svolto alcuna attività professionale nei confronti del soggetto che cede il credito.
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Acquisto crediti come operazione finanziaria
Il quesito al quale le Entrate hanno fornito risposta nasce da un’associazione di dottori commercialisti, uno studio associato, che intende acquistare un credito fiscale da Superbonus ceduto da un loro cliente. Si tratta di un’operazione di tipo strettamente economico, in quanto né lo studio in quanto tale né i singoli professionisti hanno svolto alcun tipo di attività legata al Superbonus nei confronti del cliente, neppure l’emissione del visto di conformità sulla pratica. Il credito, quindi, non viene acquistato come corrispettivo di una prestazione.
Ma visto che l’acquisto avviene ad un prezzo inferiore al valore degli stessi crediti, dovrà essere tassato o no il “differenziale positivo” che risulta dall’operazione, o si deve tener conto del fatto che in questo caso non c’è stata alcuna prestazione professionale?
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Le regole per i professionisti
Come chiarito dall’Agenzia nella circolare 23/2022, se un professionista appone il visto di conformità applicando lo sconto in fattura, l’intero importo del credito ottenuto a fronte dello sconto, pari al 110%, costituisce un provento percepito nell’esercizio dell’attività professionale e, pertanto, assoggettato a tassazione ai sensi dell’articolo 54 del TUIR che prevede l’imponibilità dei “corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.
Quindi anche se la prestazione è pari, ad esempio a 500 euro, dal momento che il credito ottenuto è di 550 euro, l’Agenzia ritiene che debba essere soggetto a tassazione questo intero importo, e non il valore della semplice prestazione.
Tuttavia nel caso dello studio associato non viene fornita alcuna prestazione professionale, né lo studio genera reddito d’impresa.
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La tassazione per le imprese
Un’impresa che acquista un credito d’imposta pagandolo meno rispetto al suo valore utilizzabile in compensazione, infatti, come precisato nella risposta 105/2020, deve tassare la sopravvenienza attiva, ai sensi dell’articolo 88 del TUIR.
L’importo corrisponde alla differenza tra il valore nominale e il costo di acquisto, e va dichiarato nell’esercizio in cui il credito è acquisito. Non è però questo il caso, dato che l’associazione non produce questa tipologia di redditi.
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Associazione e tassazione
Le associazione professionali senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, ricorda infatti l’Agenzia, sono assimilate alle società semplici in ragione della presenza dei medesimi elementi costitutivi. Questo comporta che non possono svolgere attività d’impresa e che il proprio reddito imponibile costituito dalla sommatoria delle singole categorie di reddito indicate all’art. 6 del TUIR, e imputato per trasparenza in capo a ciascun associato e assoggettato a IRPEF.
Quindi ai fini della tassazione occorre verificare se il ”provento” (che si determina tra la somma impiegata per acquisire il credito e il valore nominale dello stesso) rientri tra i redditi di capitale, i redditi di lavoro autonomo o i redditi diversi di cui, rispettivamente, agli articoli 44, 53 e 67 del TUIR.
Ai fini IRPEF, infatti, solo se si ha un arricchimento inquadrabile in una delle categorie reddituali individuate dalla normativa il “provento” è soggetto a tassazione.
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Niente norme ad hoc, nessuna tassazione
Analizzando le voci una per una, l’Agenzia ritiene che il differenziale dato dal conto di acquisto del credito e importo utilizzabile in compensazione non rientri in nessuna delle categorie di reddito individuate dalla legge in quanto:
- non costituisce un impiego di capitale e, quindi, non può essere considerato un reddito di capitale;
- non può essere considerato un reddito di lavoro autonomo in quanto per il suo calcolo si considera la differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, e per quanto ampia, la nozione di 兎lementi immateriali・ non include i differenziali derivanti dall’acquisto di crediti di imposta a un valore inferiore a quello nominale;
- non rientra neanche tra i redditi dal carattere eterogeneo e residuale rispetto alle altre categorie tra le quali le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso, ovvero dal rimborso di titoli o certificati di massa.
Quindi, conclude l’Agenzia, in assenza di una espressa previsione normativa, volta ad attribuire rilevanza reddituale all’eventuale differenziale positivo tra l’importo nominale del credito e il prezzo di acquisto dello stesso, e stante la non riconducibilità di tale differenziale in una delle categorie reddituali previste dal TUIR, si ritiene che detto acquisto non genera reddito imponibile in capo all’associazione.
In sostanza per tutti i professionisti è possibile acquistare crediti d’imposta ad un prezzo più basso del valore nominale senza essere soggetti a tassazione sul differenziale tra prezzo e importo utilizzabile in compensazione.
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Foto:iStock.com/Dilok Klaisataporn