Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, può essere considerato volume tecnico – e quindi non soggetto a titolo autorizzativo – soltanto quello “strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all’interno dell’edificio; tali possono essere, in via esemplificativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all’ascensore e simili”[1].
Deve trattarsi, in sostanza, di “opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, mentre non sono riconducibili alla stessa i locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (ad es. Cass. penale n. 7217 del 2011)”[2].
In base alla definizione contenuta alla voce n. 31 dell’Allegato ‘A’ al Regolamento Edilizio Tipo adottato ai sensi dell’art. 4, comma 1 sexies del D.P.R. n. 380/2001, poi, sono definiti volumi tecnici “i vani e gli spazi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso alle apparecchiature degli impianti tecnici al servizio dell’edificio (idrico, termico, di condizionamento e di climatizzazione, di sollevamento, elettrico, di sicurezza, telefonico, ecc.)”.
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Prontuario generale dell’edilizia
Il Prontuario generale dell’edilizia è un vero vademecum della complessa e articolata materia delle costruzioni edilizie. Analizza tutte le maggiori opere di edilizia residenziale e non residenziale, comprese le varie procedure necessarie alla realizzazione degli interventi, codificate da schede operative di facile consultazione. Il Prontuario è aggiornato alla legge 24 luglio 2024, n. 105, recante conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica”. Il volume è organizzato per argomenti, mediante schede operative, all’interno delle quali sono trattate tutte le indicazioni e le informazioni utili alla gestione procedurale di ciascuna attività, al fine di porre il tecni- co nella condizione di poter disporre delle migliori indicazioni necessarie a garantire la completa copertura delle problematiche che sarà chiamato ad affrontare nell’assolvi- mento del suo incarico. Le schede operative di ogni singolo intervento edilizio riportano: • Descrizione dell’intervento (dettagliata nei particolari basilari); • Scheda tecnica (titolo edilizio occorrente, vincoli e quant’altro necessario);• Legislazione di riferimento (relativa all’intervento da realizzare);• Giurisprudenza (massimata relativa alle opere di intervento);• Allegati essenziali (necessari per la richiesta, la realizzazione e il suo utilizzo).Mario Di NicolaArchitetto, ha operato negli Uffici Tecnici di Ente Locale, nei settori Edilizia e Urbanistica; ha redatto numerosi piani urbanistici e progetti di opere pubbliche. È, altresì, noto autore di molteplici pubblicazioni in materia.
Mario Di Nicola | Maggioli Editore 2024
I silos non sono volumi tecnici
Nella sent. 11 febbraio 2025, n. 454, il TAR Lombardia, Brescia, ha affermato che non possono essere considerati volumi tecnici due silos utilizzati da una fabbrica di lavorazione del legno, di cui uno “posto in adiacenza alla parete dell’edificio e a confine con il map. 96 (dimensioni circa 2,00 x 2,00 m)”, con un volume di 30,8 mc., mentre l’altro “posto a confine con il map. 584 e il map. 402 (diametro circa 4,00 m)”, con un volume di 144,44 mc.
Secondo i giudici, i due silos non erano manufatti destinati univocamente a contenere apparati tecnologici ed avevano rilevanti dimensioni sia in valore assoluto, sia in proporzione all’edificio principale, al quale erano strutturalmente collegati tramite tubazioni e che superavano in altezza. Pertanto, sul piano fisico determinavano un chiaro aumento di volumetria e una rilevante modifica dell’immobile in cui sono collocati.
Gli stessi erano, inoltre, dotati di propria autonomia funzionale nell’ambito del contesto produttivo e proprio valore di mercato, essendo deputati alla raccolta delle polveri scaturenti dal processo di lavorazione del legno, per cui non potevano essere considerati del tutto privi di una propria possibilità di sfruttamento rispetto all’edificio principale, requisito costantemente richiesto dalla giurisprudenza amministrativa per delimitare i confini teorici e applicativi del concetto di volume tecnico.
Sulla scorta delle caratteristiche di tali manufatti, la giurisprudenza del passato ha, quindi, affermato che “un silos non è annoverabile tra i volumi tecnici”[3]. Difatti, “pur se i silos hanno un innegabile nesso funzionale con l’attività di un’azienda agricola – essi comportano un ingombro volumetrico, per di più assolutamente rilevante con una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale che non è neppure parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché sono forniti di un autonomo valore di mercato e la loro cubatura denota senza possibilità di smentita una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede”[4]. La natura accessoria della struttura alla attività produttiva non è quindi elemento sufficiente, in assenza degli altri requisiti indicati dalla giurisprudenza, a rendere la stessa urbanisticamente irrilevante o a consentirne automaticamente la qualificazione come volume tecnico[5].
I silos non sono mere pertinenze
I due silos in questione, secondo i giudici, non potevano essere qualificati neanche come impianti tecnici di natura pertinenziale in quanto indissolubilmente a servizio dell’edificio produttivo principale e con dimensioni inferiori al 20% del volume del fabbricato cui accedono (nel caso specifico, in effetti, il dato numerico confermava le dimensioni contenute rispetto all’edificio principale, avendo quest’ultimo un volume di circa 5.600 mc., mentre i due silos sviluppavano un volume di 30,8 mc e 144,44 mc., ossia una grandezza di circa il 3%, nettamente inferiore al limite del 20%).
Come è noto, l’art. 3, comma 1, lett. e.6) del D.P.R. n. 380/2001 considera nuova costruzione “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”. La norma non qualifica come pertinenza ogni opera che abbia un volume inferiore al 20% di quello dell’edificio principale, poiché una simile interpretazione rischierebbe di sottrarre al regime autorizzatorio opere che, pur rientrando nei predetti parametri normativi, sono comunque significative quanto a dimensione siccome rapportate a edifici di grande estensione e che hanno propria autonomia funzionale o di impiego, tale da concorrere all’aumento del carico urbanistico. La norma, al contrario, stabilisce che anche opere di natura dichiaratamente pertinenziale – che tali cioè siano su un piano fisico e funzionale – sono comunque considerate, ai fini edilizi, come nuove costruzioni laddove presentino rilevanti dimensioni. Pertanto, per escludere che un manufatto sia qualificabile come opera di nuova costruzione è necessario che questo abbia prima ed ex se natura pertinenziale, sulla scorta dei criteri identificativi all’uopo elaborati dalla giurisprudenza, e poi che presenti anche una dimensione inferiore al 20% del volume del fabbricato cui accede.
Tale ricostruzione è coerente con la nozione di pertinenzialità in materia urbanistica, che ha peculiarità sue proprie rispetto a quella elaborata in ambito civilistico, in quanto il manufatto ritenuto “pertinenziale” deve risultare non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche di modeste dimensioni così da non comportare incremento di carico urbanistico e privo di autonoma funzione o proprio valore di mercato, nel senso che il suo volume non deve consentire una sua destinazione diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede[6].
Sul punto possono richiamarsi i consolidati principi giurisprudenziali, secondo cui il carattere pertinenziale rilevante ai fini urbanistici deriva dalla circostanza che le opere non comportino un nuovo volume e, dunque, comportino un nuovo e modesto volume tecnico così come definito ai fini urbanistici[7], per cui l’intervento edilizio che modifica significativamente lo stato dei luoghi, con manufatti autonomamente fruibili, non costituisce “pertinenza urbanistica”, ma “nuova costruzione” che necessita del previo rilascio del permesso di costruire[8].
La natura di pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, nesso tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l’opera pertinenziale ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da rendere l’opera priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell’assetto del territorio; sicché non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che, pur avendo proporzione sensibilmente ridotta rispetto all’opera principale, presenta incontestate caratteristiche di rilevante dimensione, di autonomo valore di mercato, di rilevante carico urbanistico e occupa un’area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale[9].
Alla luce delle indicazioni ermeneutiche sopra richiamate non è determinante, ai fini dell’attribuzione della qualifica pertinenziale, l’osservazione secondo cui il volume dei due silos sarebbe di modesta entità se paragonato all’intero complesso produttivo, poiché tali manufatti presentano comunque, in valore assoluto, dimensioni significative hanno un chiaro impatto modificativo dei luoghi, determinando una trasformazione rilevante dell’immobile cui sono strutturalmente e funzionalmente collegati. Essi integrano, dunque, una nuova costruzione sia sul piano delle caratteristiche costruttive e oggettive che sono loro proprie, sia sotto il profilo funzionale, essendo strumentali allo svolgimento dell’attività di impresa[10].
Suggeriamo:
Note
[1] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 13 settembre 2024, n. 7558; sez. V, sent. 16 aprile 2024, n. 3468; sez. IV, sent. 7 luglio 2020, n. 4358.
[2] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 7 luglio 2020, n. 4358.
[3] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 19 febbraio 2014, n. 213; TAR Torino, sez. II, sent. 5 luglio 2018, n. 821; TAR Veneto, sez. II, sent. 25 giugno 2024, n. 1593; TAR Campania, Napoli, sez. V, sent. 3 luglio 2024, n. 4099.
[4] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 16 aprile 2014, n. 1889.
[5] TAR Campania, Napoli, sez. V, sent. 3 luglio 2024, n. 4099.
[6] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 25 maggio 2022, n. 4181; sez. VII, sent. 3 aprile 2023, n. 3422.
[7] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 28 gennaio 2021, n. 847.
[8] Consiglio di Stato, sez. VII, sent. 3 novembre 2023, n. 9481.
[9] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 4 agosto 2023, n. 7548)” (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 28.05.2024, n.4725)
[10] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 29 dicembre 2020, n. 8504.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it