La casistica che si affronta, quotidianamente, nella gestione del patrimonio immobiliare dimostra l’opportunità, anzi la necessità, di un intervento di semplificazione relativo alla regolarizzazione o “sterilizzazione” di alcune difformità minori.
Solo a titolo esemplificativo, capita spesso di affrontare ipotesi quali:
- realizzazione di maggiori superfici rispetto a quelle assentite (senza la creazione di nuove unità immobiliari);
- divergenze di sagoma e prospetto rispetto all’autorizzato (spesso frutto di “correzioni” o variazioni in corso d’opera): diversa localizzazione di finestre e balconi, difformità geometriche della sagoma dell’edificio e simil;
- parziali diversità di localizzazione del fabbricato rispetto all’area di sedime assentita, che può derivare anche da irregolarità esecutive delle murature perimetrali;
- difformità frutto di errori progettuali/di rappresentazione corretti in fase esecutiva;
- variazioni non essenziali frutto dell’assenza, prima della entrata in vigore della L. 10/77, di una precisa normativa in ordine alla obbligatorietà della presentazione di una variante a fine lavori atta a legittimare le modifiche progettuali avvenute in corso d’opera (modifiche che, nella consolidata prassi, venivano non solo segnalate in sede di accatastamento, ma anche vagliate in sede di agibilità da parte della P.A.).
L’esigenza di un intervento normativo – che sia il preannunciato Salva Casa ovvero una riforma organica della disciplina delle costruzioni – sorge dal rilievo (pacifico in giurisprudenza, amministrativa e penale) per cui l’assenza del pieno stato legittimo impedisce l’esecuzione, a sua volta legittima, di qualunque forma di intervento edilizio (anche minore). Il tema si pose per il Superbonus (e venne bypassato con la nota “soluzione” della CILAS), ma è destinato, a ben vedere, a ri-emergere a breve anche per gli interventi edilizi che dovranno dare attuazione alla c.d. Direttiva Case Green.
Al riguardo, se è vero che alcune misure di semplificazione e regolarizzazione sono già presenti nel DPR 380/2001 (così come integrato dal Decreto semplificazioni 2020), il sistema continua a risultare, nel suo complesso, eccessivamente rigido (ed irragionevole). Gli ambiti di intervento che una prossima semplificazione dovrebbero, auspicabilmente, toccare sono diversi.
Vediamo di seguito quali potrebbero essere.
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Il Testo Unico dell’Edilizia: attività edilizia e titoli abilitativi dei lavori
Il T.U.E. ha subito, negli anni, una serie di modifiche radicali.
L’opera, abbinando il dovuto rigore ad un taglio operativo, permette di individuare, per ogni singolo articolo, la norma e la giurisprudenza vigente tempo per tempo.
Ciò risulta particolarmente utile, per esempio, ove sia necessario verificare il rispetto delle norme vigenti in un dato arco temporale al fine di stabilire la regolarità del manufatto (elemento peraltro necessario per poter godere dei Superbonus fiscali).
L’opera è indirizzata ai professionisti tecnici costretti a confrontarsi quotidianamente con norme di difficile interpretazione anche per gli esperti.
Il manuale esamina dettagliatamente la prima parte del Testo Unico dell’edilizia (articoli 1-51) focalizzata sull’attività edilizia e sui titoli abilitativi e presenta una serie di peculiarità che la differenziano da lavori analoghi:- ogni articolo presenta il testo vigente e la versione storica, indicando la norma intervenuta;- gli articoli sono arricchiti da un commento e da oltre 2.000 riferimenti giurisprudenziali;- la giurisprudenza riporta: il riferimento (organo giudicante, Sezione, data e numero), un titolo per orientare il lettore e la massima.
Il testo del codice è aggiornato con oltre 35 provvedimenti legislativi a partire dalla legge Lunardi fino al decreto Semplificazioni.
In appendice sono presenti le c.d. definizioni standardizzate e il quadro dei principali lavori edilizi secondo la riforma Madia.
Donato Palombellasi è laureato in Giurisprudenza (laurea quadriennale) con il massimo dei voti e plauso della commissione, discutendo una tesi in Diritto amministrativo. Ha un Master per Giuristi d’Impresa ottenuto presso l’Università di Bologna con specializzazione in opere pubbliche; successivamente ha seguito numerosi corsi specialistici su temi giuridici, economici e finanziari. Ha acquisito esperienza ultra trentennale nel Diritto immobiliare, prima all’interno di studi professionali e poi in aziende operanti nel settore edile-immobiliare. Collaboratore storico di numerose testate specialistiche di rilevanza nazionale, partecipa al comitato scientifico di alcune riviste giuridiche. È autore di numerose opere in materia di Edilizia, Urbanistica, Tutela del consumatore in ambito immobiliare, Contrattualistica immobiliare e Condominio presenti presso le principali biblioteche universitarie e dei Consigli regionali.
Donato Palombella | Maggioli Editore 2021
La questione delle varianti ante L. 10/77 non dichiarate
Come accennato, in passato, ossia prima della normativa del 1977, era prassi consolidata quella di variare il progetto in fase esecutiva, andando a “denunciare” le varianti (minori) apportate al progetto solo in sede di accatastamento, ipotesi nelle quali in sede di approvazione (espressa, previo sopralluogo e con adozione di provvedimento formale) della abitabilità le Amministrazioni nulla contestavano.
La questione non è univoca – secondo Corte costituzionale 21.10.2022, n. 217, anche ante L. 10/77 vigeva un obbligo di munirsi di titolo per le varianti al progetto assentito – ragion per cui l’introduzione di una norma statale espressa atta a “ratificare” tale forma di legittimazione sarebbe una misura senz’altro opportuna ed utile.
Si tratta di un’impostazione che, peraltro, opera già in alcune regioni (è il caso dell’Emilia Romagna con l’art. 17-bis L.R. 23/2004, dove tali difformità ante 77, se non seguite da una pratica di agibilità a valle, sono regolarizzabili con una sanzione pecuniaria).
Il possibile ampliamento delle tolleranze
Altro auspicabile intervento – del quale infatti si parla – attiene ad una revisione della disciplina delle tolleranze, ossia di quelle difformità al ricorrere delle quali non è integrato alcun abuso edilizio, ma si è in presenza di una “fisiologica”.
Da un lato, si osserva, la soglia del 2% oggi prevista dall’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 non tiene in debito conto del fatto che una simile soglia è eccessivamente restrittiva da un punto di vista delle tecniche progettuali e costruttive vigenti nei decenni scorsi: in tal senso graduare il valore limite anche in funzione dell’epoca di realizzazione potrebbe rappresentare una misura ragionevole e proporzionata. Dall’altro lato, l’intervento del legislatore dovrebbe concentrarsi al fine di “riempire” e precisare il co. 2 dell’art. 34-bis, introdotto nel 2020 ma restato (salvo alcune normative regionali) lettera morta a causa della sua eccessiva genericità.
In particolare, la norma dispone che – sempre che non vengano in rilievo vincoli ai sensi del Codice dei beni culturali (sul tema torneremo) – “costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile”. Pare evidente il contenuto piuttosto “vago” di tale definizione, tale da renderla difficilmente applicabile.
Tale disposizione trova nella legislazione regionale il suo modello (L.R. Emilia Romagna 23/2004, art. 19-bis) e proprio la normativa regionale offre utili spunti al fine di individuare alcune ipotesi atte a tipizzare alcune fattispecie di “tolleranze esecutive”. In tal senso è interessante la DGR Piemonte 14.1.2022 n. 2-4519 che, tra le varie ipotesi, menziona ad esempio la difforme esecuzione: “delle aperture esterne purché le aperture realizzate si sovrappongano per almeno il 50% con quelle previste nei titoli abilitativi che hanno legittimato l’intervento e le modifiche delle dimensioni non siano variate oltre il 10%”, “di muri esterni che determinano un diverso sedime purché la superficie totale dello stesso sia invariata e le modifiche alla geometria del perimetro del sedime non determinino una sovrapposizione di superficie inferiore al 90% rispetto al progetto approvato” così come anche l’ipotesi degli “errori progettuali corretti in fase di realizzazione”.
Così come, ancora una volta sulla base del modello della L.R. Emilia Romagna 23/2004, potrebbe trovarsi soluzione al tema, già accennato, delle varianti ante l. 10/77 costituenti “parziali difformità, realizzate nel passato durante i lavori per l’esecuzione di un titolo abilitativo, cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da parte di funzionari incaricati, la certificazione di conformità edilizia e di agibilità (…) nonché le parziali (…) che l’amministrazione comunale abbia espressamente accertato nell’ambito di un procedimento edilizio e che non abbia contestato come abuso edilizio o che non abbia considerato rilevanti ai fini dell’agibilità dell’immobile”.
Tema, quello delle parziali difformità ante L. 10/77 seguite da “atti amministrativi ricognitivi” (il caso dell’agibilità, appunto) che, alla luce di Corte costituzionale 22.10.2022, n. 217, necessita di un intervento normativo statale, atteso che, diversamente dalla normativa della Emilia-Romagna (mai rimessa alla Consulta), la previsione veneta che introduceva tale meccanismo di tolleranza è stata dichiarata incostituzionale.
La questione della nozione di parziale difformità e della rilevanza dei vincoli
Sempre in una prospettiva propositiva, occorre evidenziare due nodi la cui soluzione pare porsi come dirimente per una semplificazione reale.
Da un primo punto di vista, deve osservarsi come la gran parte soluzioni ipotizzate e all’ordine del giorno – ai fini di sanatorie/tolleranze – è ancorata al concetto di parziale difformità. Occorre evidenziare che ad oggi la definizione in concreto della nozione di parziale difformità è affidata dal legislatore nazionale (art. 32 DPR 380/01) alla legislazione regionale.
Infatti, l’art. 32 del TUEd vigente individua perlopiù criteri generici (se non “in bianco”).
Si pensi, a puro titolo di esempio, al criterio della cubatura, rispetto al quale l’art. 32 del D.P.R. 380/2001 indica alle Regioni, quale parametro, quello dell’“aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato”. E ciò con il paradosso che mentre in Emilia-Romagna, relativamente al parametro del volume, la parziale difformità ha come soglia limite il 20%, nel Lazio il valore limite è il 2%. Dunque, qualunque Salva Casa o riforma sistematica in senso ragionevole della disciplina delle sanzioni edilizie deve passare dalla revisione, a monte, della norma nazionale relativa alla nozione di variazione essenziale.
Da un secondo punto di vista, sempre l’art. 32 del DPR 380/2001 pone un’altra rilevante questione: al ricorrere di qualunque vincolo ai sensi del d.lgs. 42/2004 (dunque anche in caso di vincoli paesaggistici puramente areali, cioè senza alcun nesso con la tutela dello specifico immobile) è esclusa la possibilità di qualificare l’irregolarità come parziale difformità (scelta che il Legislatore compie anche nell’art. 34-bis, co. 2, in tema di tolleranze esecutive).
È evidente come un approccio del genere necessiti di essere ripensato, pena il rischio di una revisione normativa che, di fatto, finirebbe per interessare una minoranza del patrimonio edilizio.
Gli attuali limiti dell’accertamento di conformità
L’ultimo tema sul quale occorre segnalare criticità è quello della sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001. E ciò non solo evidenziando la necessità, specie quando si tratti non di nuove costruzioni ma di limitati ampliamenti, di rimeditare il rigido meccanismo della doppia conformità (dando rilievo, ad esempio, alla sopravvenuta conformità urbanistico-edilizia), ma soprattutto per fornire una più chiara ed elastica disciplina ai regimi autorizzatori “speciali” (su tutti: autorizzazione sismica ed autorizzazioni delle competenti Soprintendenze) che oggi, anche a causa di orientamenti giurisprudenziali particolarmente rigorosi, sono spesso di incerta percorribilità.
Val la pena ricordare, in merito alla c.d. sanatoria sismica, l’esistenza di una spaccatura in seno alla giurisprudenza: secondo la Cassazione penale, da ultimo la sentenza 2357/2023, l’assenza nel DPR 380/2001 di una normativa espressa non consente di ritenere esistente l’autorizzazione sismica in sanatoria, da cui l’impossibilità di ottenere un accertamento di conformità per immobili interessati da violazioni relativi alla disciplina delle strutture. Per contro si registra la recente opposta lettura di Cons. Stato n. 3645/2024 che ammette tale forma di sanatoria.
Così come, in punto di autorizzazione postuma per interventi interessati da tutela diretta ai sensi della parte II del Codice dei beni culturali, si registrano oscillamenti tanto nella prassi (con diverse Soprintendenze che ammettono un “nulla osta postumo”) quanto nella giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, n. 7811/2021 esclude tale titolo in sanatoria). Così, come, occorre ricordare che secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa non è possibile in sede di accertamento di conformità apportare all’immobile modifiche, anche minori, atte a renderla conforme alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento. Impostazione, quest’ultima, che – a prescindere dal dibattito relativo al superamento della regola della doppia conformità – nella sua accezione più rigida rende di fatto il percorso di regolarizzazione spesso di difficilissima, se non impossibile, positiva definizione (basti ricordare che Cons. Stato n. 4176/2015 ha escluso addirittura la possibilità di “recuperare” la conformità tramite la apposizione di “un parapetto frangisole idoneo ad impedire la vista verso la proprietà confinante”).
Articolo di: Avv. Andrea Di Leo, partner Legal Team e Arch. Francesco Lupoi, partner SPERI