La comunicazione inizio lavori asseverata (CILA) presenta una serie di peculiarità che la giurisprudenza ha spesso indagato, contribuendo a chiarire l’ambito di operatività di questo strumento di semplificazione. Fra le pronunce recenti, ne segnaliamo due.
Il TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 5 ottobre 2023, n. 2200, ha ribadito[1] che è nullo il provvedimento di diniego di una CILA, ai sensi dell’ art. 21 septies della Legge n. 241/1990, in quanto espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6 bis del Testo Unico Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), pur rimanendo salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’ente territoriale.
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Come evidenziato dai giudici salernitani, l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio, conseguendo a ciò che ci si trova di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la SCIA).
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Quindi, la CILA non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento, da parte dell’amministrazione comunale, non essendo, al contempo, a quest’ultima precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di CILA alle prescrizioni vigenti in materia.
Un eventuale pronunciamento anticipato dell’amministrazione in ordine alla legittimità degli interventi comunicati con CILA riveste carattere non già provvedimentale, bensì meramente informativo, non rispondendo ad un potere normativamente tipizzato[2].
Il TAR Lombardia, Milano, sez. II, nella sent. 2 ottobre 2023, n. 2192, ha confermato che, considerata la specifica natura della CILA, anche laddove sia trascorso un rilevante lasso temporale dalla sua trasmissione al Comune, non è precluso all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori qualora ci si trovi al cospetto di interventi che esulino dal regime della predetta comunicazione[3].
L’utilizzo di un titolo inidoneo, difatti, rende abusivo l’intervento e impone al Comune l’adozione dei suoi poteri generali di vigilanza in ambito edilizio: in particolare l’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
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Ciò in linea con un condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, pur in presenza di sempre maggiori spazi di semplificazione procedimentale anche in ambito edilizio, «esistono tuttavia dei limiti insormontabili che non consentono di derubricare gli interventi “maggiori” al titolo “minore”. Se pertanto il privato ha sempre la possibilità di optare per il permesso di costruire, laddove gli sarebbe possibile agire tramite semplice d.i.a. (oggi s.c.i.a.) non vale il reciproco, per cui nei casi in cui è ritenuto necessario l’avallo esplicito dell’intervento, l’utilizzo di qualsivoglia altra forma di comunicazione, ivi comprese quelle nuove introdotte nel tempo (si pensi alla c.d. comunicazione inizio lavori -C.I.L.- o comunicazione inizio lavori asseverata -C.I.L.A.) appare sostanzialmente inutile. Esso, cioè, si palesa tamquam non esset ai fini della legittimazione dell’intervento, che resta abusivo. Al riguardo, la Sezione ritiene utile richiamare gli orientamenti della Suprema Corte relativi alla disciplina sanzionatoria ritenuta applicabile, laddove ha ribadito che integra il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire la realizzazione di interventi edilizi su un preesistente manufatto, comportanti modifiche alla sagoma ed incrementi di superficie o volumetrici, non essendo gli stessi inquadrabili nella categoria delle varianti minori o leggere, soggette a mera segnalazione certificata di inizio attività (cfr. ex plurimis Cass. Pen., sez. IV, 18 settembre 2019, n. 38611). L’utilizzo, infatti, di un titolo edilizio completamente inadeguato a “coprire” l’intervento realizzato, non elide la natura illecita dello stesso, sì da poter comunque scongiurare l’intervento sanzionatorio del Comune nell’ambito del proprio generico potere di vigilanza (art. 27 del T.U.E.)”[4].
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In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
Consigliamo
[1] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. n. 2052/2018; sent. n. 126/2020; TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. n. 764/2020.
[2] TAR Veneto, sez. II, sent. n. 415/2015; TAR Toscana, sez. III, sent. n. 1625/2016.
[3] Consiglio di Stato, sez. VII, sent. 28 aprile 2023, n. 4327; sez. II, sent. 13 ottobre 2022, n. 8759; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 24 febbraio 2022, n. 462; TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 6 aprile 2020, n. 1338.
[4] Consiglio di Stato, II, 15 dicembre 2020, n. 8032; con riguardo all’uso improprio della CILA, cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 25 febbraio 2021, n. 1273; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 27 giugno 2022, n. 1508.
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