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10 Ottobre 2022

Edifici a energia zero: i ponti termici sono realmente un problema?

ponti termici

Possiamo definire un ponte termico come una porzione di frontiera esterna in cui la temperatura superficiale è sensibilmente inferiore a quella del resto della frontiera stessa (il tema è affrontato dalla norma UNI EN ISO 10211).

Questo può essere dovuto a due fattispecie che analizziamo di seguito, così come descritto nel volume Progettare edifici a energia zerodi Federico Arieti, edito da Maggioli Editore. 

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Ponti termici: le tipologie

I ponti termici possono essere individuati secondo due categorie:

  • ponti termici geometrici. Si creano in corrispondenza di tutti gli angoli e le giunzioni delle frontiere esterne (parete/parete, copertura/parete, parete/infisso. Si creano perché in tutte le convessità rivolte all’esterno la superficie scambiante all’esterno è molto più estesa che all’interno;
  • ponti termici costruttivi. Si creano laddove un elemento edilizio sia interrotto dalla presenza di un elemento edilizio con caratteristiche termiche più scarse (es.: un pilastro o una trave in c.a. all’interno di un tamponamento in laterizio alveolato; una trave passante dall’interno all’esterno, ecc.).
Fig.1_A sinistra un esempio di ponte termico geometrico, a destra un esempio di ponte termico costruttivo ©Progettare edifici a energia zero – Maggioli Editore

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I ponti termici sono realmente un problema?

I ponti termici rappresentano un nemico ferale dell’approccio al costruire di cui stiamo trattando: questa sarà cosa nota a tutti. Ma per quali ragioni sostanziali?

In un edificio passivo, in cui il fabbisogno energetico di progetto è minimo, la dispersione di energia termica per trasmissione dovuta a ponti termici “non corretti” (questa l’espressione esatta) può avere un’incidenza significativa. Quindi una ragione è il dispendio energetico, indubbiamente.

Però, è davvero questo il problema sostanziale? Rischiano di non aver torto eccessivo i detrattori che ironizzano offrendoci dieci euro di gas in più, al posto di tante pignolerie sulla progettazione e l’esecuzione dell’involucro?…

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No! Il vero problema causato dai ponti termici, che sono punti a temperatura inferiore rispetto a quella della frontiera su cui insistono, ci è facilmente intuibile. Un punto a temperatura superficiale più bassa, oltre ad essere un punto presso il quale si avvertirà una sensazione di discomfort, è un punto nel quale possono formarsi condensa superficiale (UR = 100%) o muffa (UR = 80%).

I danni provocati all’involucro dalla condensa interstiziale diventano percettibili quando ormai si trovino ad uno stadio abbastanza evoluto.

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Come correggere un ponte termico?

Un ponte termico si può considerare risolto se è verificata questa relazione, che è un criterio di controllo contro la formazione di muffe (tratto dalla EN ISO 10211-1), ed è naturale che, se non c’è pericolo di muffa, non c’è a maggior ragione rischio di condensa superficiale:

Anche un ponte termico, come qualsiasi pacchetto costruttivo, ha una trasmittanza termica. Non ha una U, cioè una potenza termica dissipata per metro quadro (oltre che per grado Kelvin). Bensì due possibili tipi di trasmittanza, a seconda che sia un ponte lineare o puntuale:

  • ponte lineare, trasmittanza termica lineica Ψ [W/mK], ad esempio un cordolo in cemento armato;
  • ponte puntuale, trasmittanza termica puntuale χ [W/K], ad esempio una trave passante.
A sinistra, un cordolo in cemento armato: tipico esempio di ponte termico lineare. A destra, caratteristico esempio di ponti termici puntuali: travetti passanti da dentro a fuori l’involucro

Lo Ψ e il χ si possono calcolare sempre con un’analisi a elementi finiti. Un criterio statuito dal PassivHaus Institut, che certifica solo edifici ritenuti completamente privi di ponti termici: un ponte termico si può dire risolto se ha un valore Ψ </= 0,01 W/mK. Si tratta di un valore abbastanza severo.

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Foto:iStock.com/ewg3D

Fonte: EdilTecnico

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