L’ascensore installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo, per iniziativa di parte dei condomini, potrebbe anche non rientrare nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartenere solo a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese.
Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123 c.c., comma 3, comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi.
Al di fuori di questa particolare situazione, l’impianto dell’ascensore si intende di proprietà comune, secondo la presunzione di cui all’art. 1117, n. 3 c.c., fra tutti i condomini in proporzione al valore dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva, e la ripartizione delle spese relative all’ascensore è regolata dai criteri stabiliti dagli art. 1123 e 1124 c.c.
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Il presente testo, di commento e approfondimento del decreto n. 69/2024 (c.d. Decreto Salva Casa), è scritto a quattro mani da un avvocato esperto di diritto amministrativo, con particolare riguardo all’ambito urbanistico-edilizio ma non solo, e da un tecnico appassionato della teoria ma anche e soprattutto della pratica delle procedure amministrative: assieme, sviluppano il presente testo che vuole dare al lettore una visione del decreto che sia più ampia possibile, sia per quanto attiene l’ambito più strettamente pratico, ma senza dimenticare che, in Italia, ogni istanza edilizia, anche quella che può apparire più semplice, è in verità sovrastata da un grande insieme di norme che vegliano sui più disparati ambiti.
Marco CampagnaArchitetto libero professionista. Nel corso degli anni ha avuto modo di approfondire i temi dell’urbanistica applicata agli interventi edilizi, sia svolgendo pratiche in prima persona, sia operando come consulente o come perito, sia per conto di privati che per società, eseguendo parallelamente progettazioni e direzioni lavori per diversi interventi di recupero e di valorizzazione immobiliare. È attualmente componente della Commissione Urbanistica dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, formatore e docente in svariati corsi di aggiornamento e approfondimento professionale presso il medesimo Ordine e presso altre realtà.
Andrea Di LeoAvvocato, opera nel diritto amministrativo, con particolare riferimento ai settori dell’urbanistica e dell’edilizia, anche in relazione ai profili vincolistici. Si occupa, inoltre, dei profili regolatori ed amministrativi relativi a ricettività, commercio e somministrazione, di appalti pubblici nonché dei profili amministrativi e regolatori dei settori innovativi (startup, sharing economy, mobilità e trasporti). Svolge attività di docenza (nell’ambito di Master Universitari) e formazione. È Membro della Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti e Co-founder di Legal Team.
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Presunzione di condominialità dell’ascensore
In virtù di tale presunzione di condominialità, le spese di manutenzione, sia ordinarie che straordinarie, devono essere ripartite tra tutti i condomini con il criterio della proporzionalità dettato dalle richiamate norme, a nulla rilevando la considerazione che i proprietari dei locali al piano terra non ne usufruiscano in concreto. Secondo l’articolo 1117 c.c., l’ascensore è compreso tra le parti comuni dell’edificio poiché è destinato, per la sua funzione, al godimento di tutti i condomini. L’ascensore è una parte comune anche per i proprietari delle unità condominiali site al piano terra poiché essi possono trarre utilità dall’impianto.
L’impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell’ascensore, in rapporto ed in proporzione all’utilità che possono in ipotesi trarne. La presunzione di condominialità dell’impianto è fondata, quindi, sulla relazione strumentale necessaria fra lo stesso e l’uso comune.
Analogo ragionamento è applicabile anche al vano ascensore? La questione è stata recentemente affrontata dal Tribunale di Agrigento (sentenza 8 gennaio 2024 n. 20).
La vicenda
La controversia nasceva per iniziativa del condominio che si rivolgeva al Tribunale per sentir accertare e statuire la natura condominiale del vano ascensore; secondo l’attore, infatti, tutti i condomini rappresentati dall’amministratore di condominio pro tempore, erano proprietari del suddetto vano ascensore in modo unico ed esclusivo nei confronti di ogni altro; il condominio perciò voleva accertare l’inesistenza di diritti concorrenti di terzi sul detto vano.
L’esigenza dell’accertamento della condominialità del bene in questione era nata perché i condomini avevano deliberato di istallare un ascensore; tuttavia la ditta affidataria dell’incarico, durante il primo sopralluogo, constatava che il vano destinato ad accogliere l’impianto era parzialmente occupato da altro impianto ad uso privato di una condomina che collegava il piano seminterrato al piano terra.
Il condominio, perciò, pretendeva la condanna al ripristino dello stato dei luoghi, con la rimozione dell’impianto di proprietà della convenuta. Quest’ultima chiedeva, in via preliminare, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini e, nel merito, il rigetto della domanda. In particolare la convenuta si opponeva, eccependo di aver acquistato l’immobile comprensivo dell’ascensore/montacarichi che collegava il piano terra con il seminterrato. Così, sosteneva la prescrizione dell’azione o comunque l’usucapione poiché il montacarichi era stato realizzato dai precedenti proprietari, così come risultava dalle planimetrie catastali del 1985 depositate in giudizio.
La decisione
Il Tribunale ha dato ragione al condominio. Il CTU ha chiarito come l’accesso al montacarichi, posto tra il seminterrato ed il piano terra sia all’interno della proprietà della convenuta e non nell’androne condominiale, altresì rilevando che è stato installato in continuità con il vano corsa dell’ascensore condominiale, sovrapponendosi allo stesso. Come ha aggiunto lo stesso CTU, di fatto i due vani corsa sono risultati planimetricamente sovrapposti, con conseguente esistenza di un solo vano corsa ascensore, collegante il piano seminterrato al piano terrazzo dell’immobile, occupato attualmente dal montacarichi della convenuta. Tenendo conto di quanto sopra il Tribunale ha notato che la convenuta non ha provato una valida riserva da parte dell’originario proprietario sul bene comune.
Inutile poi invocare l’usucapione di detto spazio che si presume condominiale. Il possesso necessario per usucapire della convenuta avrebbe dovuto essere stato acquistato ed esercitato pubblicamente (cioè in modo visibile a tutti) e non clandestinamente. In altri termini, il condomino che invoca l’usucapione deve provare il possesso esclusivo del bene e dimostrare che la facoltà di utilizzo di tale bene da parte degli altri condomini sia stata palesemente impedita e/o esclusa per il periodo necessario di 20 anni, prova che nel caso di specie non è stata raggiunta. L’attività istruttoria espletata, però, ha confermato che gli altri condomini non erano a conoscenza dell’esistenza di un montacarichi/ascensore che collegava il piano terra con il seminterrato e ciò perché il vano ascensore non era nemmeno visibile.