Ecco la selezione delle sentenze per l’edilizia e l’urbanistica pubblicate la scorsa settimana: chiusura porticato, serve sempre il permesso di costruire? Ordine di demolizione, serve comunicazione di avvio del procedimento? Osservazioni al piano urbanistico, serve motivazione congrua perché siano rigettate?
E ancora: box di 20 mq., serve permesso di costruire? Diniego di accesso a una pratica edilizia irreperibile, quando è legittimo?
Chiusura porticato, serve sempre il permesso di costruire?
TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 1° luglio 2020 n. 1268
Serve il permesso di costruire per la chiusura su tre lati di un preesistente porticato, sorretto da pali in legno, con nuova pavimentazione e installazione di un impianto di riscaldamento
Serve il permesso di costruire per la chiusura su tre lati di un preesistente porticato, sorretto da pali in legno, con nuova pavimentazione e installazione di un impianto di riscaldamento.
L’intervento non può che essere ricondotto nella nozione di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 27 della L.R. n. 12/2005, che ricomprendono tutti gli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.
A seguito delle nuove opere è stato creato un locale, trasformando la preesistente tettoia, che da semplice pertinenza ora diviene un organismo edilizio completamente diverso dal precedente, anche per quanto attiene alla destinazione.
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A seguito del nuovo manufatto, in realtà, è stata modificata la tipologia e la struttura dell’edificio originario. Infatti dall’intervento è scaturito un organismo edilizio diverso dal precedente, con la creazione di un locale chiuso sui 4 lati, un nuovo volume, con una nuova destinazione, in ampliamento al fabbricato a cui accede.
La giurisprudenza afferma che anche solo con l’installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato si determina la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria, e ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno (v., tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 24.2.2020, n. 837).
Pertanto l’opera appare riconducibile ad un intervento di ristrutturazione “pesante”, dal momento che è stato creato un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con variazione della volumetria, come previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001, mentre per la ristrutturazione edilizia “leggera” l’organismo edilizio interessato dalle opere rimane identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici.
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Ordine di demolizione, serve comunicazione di avvio del procedimento?
TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 1° luglio 2020 n. 1185
Il provvedimento demolitorio, avendo natura vincolata, non necessita di essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento
Per orientamento costante della giurisprudenza, il provvedimento demolitorio, avendo natura vincolata, non necessita di essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, in quanto non è prevista, in capo all’amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico influenzabili da una fattiva partecipazione del soggetto destinatario (da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 30.1.2020, n. 775, T.A.R. Napoli, Sez. IV, 23.1.2020, n. 327; Cons. Stato, Sez. II, 23.1.2020, n. 561). Per l’effetto, lo stesso non può essere invalidato per omessa osservanza delle norme che disciplinano la partecipazione endoprocedimentale del privato (ivi inclusa la comunicazione del responsabile del procedimento), ciò anche alla luce di quanto stabilito dall’art. 21 octies, secondo comma, primo periodo, l. 241/1990, essendo palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.
A diverse conclusioni non può giungersi in ragione del lungo lasso di tempo trascorso rispetto all’edificazione delle opere, poiché l’ordine di demolizione è vincolato dalla sola constatazione dell’abuso, senza che il fattore temporale possa assumere rifluenza, non potendo tra l’altro ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva (T.A.R. Napoli, Sez. II, 3.2.2020, n. 517; T.A.R. Napoli, Sez. VIII, 5.3.2019, n. 1212).
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Osservazioni al piano urbanistico, serve motivazione congrua perché siano rigettate?
TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 29 giugno 2020 n. 1237
Il rigetto delle osservazioni deve essere assistito da una motivazione che sia congrua rispetto agli elementi di fatto e di diritto posti alla base delle osservazioni stesse e che abbia tenuto presente il loro apporto critico e collaborativo in comparazione con gli interessi pubblici coinvolti in vista dell’adozione di soluzioni urbanistiche, oltre che legittime, anche opportune e razionali
Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le osservazioni presentate dai privati nei confronti di un piano regolatore in itinere sono finalizzate a consentire che il punto di vista del soggetto potenzialmente leso assuma rilevanza e venga adeguatamente considerato, in modo che l’Amministrazione si determini correttamente e compiutamente in omaggio ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.) che devono presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa.
Ne deriva che il rigetto delle osservazioni deve essere assistito da una motivazione che sia congrua rispetto agli elementi di fatto e di diritto posti alla base delle osservazioni stesse e che abbia tenuto presente il loro apporto critico e collaborativo in comparazione con gli interessi pubblici coinvolti in vista dell’adozione di soluzioni urbanistiche, oltre che legittime, anche opportune e razionali.
Quindi, le osservazioni al P.R.G. non possono essere respinte con una formula di mero stile che pone nell’assoluta impossibilità di acclarare se l’Amministrazione abbia effettivamente valutato il rilievo e, quindi, si sia determinata a respingerlo proprio ai fini di quel pubblico interesse che pure si asserisce di voler tutelare, essendo invece necessaria una puntuale ed adeguata motivazione (T.A.R. Campania, Napoli, V, 11 gennaio 2011, n. 50).
Invero, fermo restando che il merito della scelta amministrativa resta sottratto al sindacato del giudice amministrativo, l’Amministrazione è comunque tenuta a dare conto dell’avvenuta valutazione e considerazione di tutti gli interessi coinvolti attraverso l’esame delle osservazioni pervenute (T.A.R. Sicilia, Catania, I, 27 maggio 2011, n. 1332; anche T.A.R. Campania, Napoli, V, 17 dicembre 2010, n. 27621).
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Box di 20 mq., serve permesso di costruire?
TAR Toscana, sez. III, sent. 29 giugno 2020 n. 833
Un box di 20 mq. e con un volume di oltre 40 mc. non è una pertinenza e richiede il permesso di costruire
Un box delle dimensioni in pianta di 6,40 x 3,00 metri e altezza di circa 2,30 metri, realizzato con telaio in ferro e tamponature esterne in lamiera rivestite in muratura all’interno, copertura in onduline richiede il permesso di costruire.
Il manufatto in questione – per le sue caratteristiche di stabilità e le sue dimensioni – presenta tutti i caratteri della costruzione edilizia comportante una definitiva trasformazione di suolo e, come tale, necessitante di titolo abilitativo. Né in contrario vale invocarne il carattere pertinenziale, atteso che, com’è noto, in ambito urbanistico-edilizio la nozione di pertinenza ha un significato circoscritto alle opere che non comportino formazione di nuovi volumi, o che comportino solo modesti volumi tecnici (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3074, e i precedenti ivi citati), ipotesi che qui non ricorre (il box ha una superficie di circa 20 mq e un volume di oltre 40 mc).
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Diniego di accesso a una pratica edilizia irreperibile, quando è legittimo?
TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 29 giugno 2020 n. 1245
Illegittimo il diniego di accesso ad una pratica edilizia per dichiarata irreperibilità senza dare puntuale conto delle modalità di conservazione degli atti invocati in visione, delle ragioni del loro smarrimento e delle ricerche in concreto compiute
Per costante giurisprudenza, alla stregua del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l’esercizio del relativo diritto non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili (v. tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 3 luglio 2018 n. 4411).
Tuttavia, non è sufficiente – al fine di dimostrare l’oggettiva impossibilità di consentire il diritto di accesso e quindi di sottrarsi agli obblighi tipicamente incombenti sull’amministrazione in base alla normativa primaria in tema di accesso – la mera e indimostrata affermazione in ordine all’indisponibilità degli atti quale mera conseguenza del tempo trascorso e delle modifiche organizzative medio tempore succedutesi, in quanto spetta all’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso l’indicazione, sotto la propria responsabilità, degli atti inesistenti o indisponibili che non è in grado di esibire, con l’obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità (v. Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2013 n. 892).
Occupandosi di casi di dichiarata irreperibilità dei documenti oggetto di istanza di accesso, la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare che in simili situazioni l’Amministrazione è tenuta ad eseguire con la massima accuratezza e diligenza sollecite ricerche per rinvenire i documenti chiesti in visione – destinando all’uopo idonee risorse in termini di personale e tempo –, e qualora, ciò nonostante, la documentazione non venisse reperita, deve estendere le relative indagini, anche con le opportune segnalazioni e denunce all’Autorità giudiziaria, presso altre Amministrazioni che fossero in possesso di copia della documentazione richiesta, per poi – in caso di ulteriore esito negativo delle ricerche – dare conto al privato delle ragioni dell’impossibilità di ricostruire gli atti mancanti, delle eventuali responsabilità connesse a tale mancanza (smarrimento, sottrazione, ecc.) e dell’adozione degli atti di natura archivistica che accertino lo smarrimento/irreperibilità in via definitiva dei documenti medesimi (v. sentt. n. 2587 del 15 novembre 2018, n. 1255 del 31 maggio 2019 e n. 343 del 20 febbraio 2020).
Conseguentemente, è illegittimo il diniego che si fonda unicamente sulla mera dichiarazione di irreperibilità dei documenti oggetto della richiesta ostensiva, senza dare puntuale conto delle modalità di conservazione degli atti invocati in visione, delle ragioni del loro smarrimento e delle ricerche in concreto compiute.
In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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