Gli accorgimenti pratici tesi ad evitare la formazione di condensa superficiale e interstiziale si possono riassumere in questi quattro punti importanti.
- Diffusione del vapore attraverso l’involucro edilizio: quanto più possibile.
- Tenuta al vapore: nella misura richiesta dal progetto. Abbinata alla tenuta all’aria.
- Ventilazione, naturale e meccanica. Evitare la ventilazione “spontanea” (mediante tenuta all’aria).
- Buona coibentazione. Evitare e risolvere i ponti termici (geometrici e costruttivi).
Analizziamo nel dettaglio soprattutto i primi due aspetti e vediamo nello specifico come si comportano dal punto di vista igro-termico una parete con cappotto esterno e una parete con cappotto interno e controparete.
L’analisi è tratta dal volume Progettare gli edifici ad energia zero di Federico Arieti edito da Maggioli Editore.
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Diffusione del vapore
Richiamiamo, delle quattro proprietà fisiche dei materiali da costruzione citate in apertura, quella di cui fin qui abbiamo meno discusso: μ, il fattore di resistenza al passaggio del vapore. Più basso è questo valore adimensionale, più permeabile risulta essere al passaggio del vapore un materiale.
Dal punto di vista igrometrico, la successione ideale dei materiali implica che si dispongano, da dentro a fuori, strati costruttivi progressivamente più aperti alla diffusione del vapore.
In tal modo il pacchetto stesso risulta aperto alla diffusione nella direzione lungo la quale il vapore diffonde (perlomeno in regime invernale). È consuetudine definire questa disposizione, per grado crescente di diffusione verso l’esterno, come una “V favorevole” (Fig.1).
Quali unità di misura definiscono questa apertura alla diffusione? Naturalmente il valore μ costituisce una proprietà dei materiali “nudi e crudi”. Ma all’interno di una stratigrafia, i materiali figurano con uno spessore definito. Va pertanto introdotta un’ulteriore grandezza, riferita allo specifico spessore dei materiali posti in stratigrafia: il valore sd, prodotto del μ di un materiale moltiplicato per il suo spessore, ed espresso quindi in metri.
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Tenuta al vapore
Un pacchetto “diffondente” al vapore, in generale, dove possibile, è meglio di uno “chiuso alla diffusione”.
Ma una tenuta al vapore (“blanda”, “media”, o “totale” ch’essa sia) è comunque opportuna. Volendosi attenere, per comodità di trattazione, ad uno schema consueto, si possono indicare tre famiglie di tenute al vapore:
- teli traspiranti → elevata permeabilità al vapore (elevata apertura alla diffusione);
- freni al vapore → parziale permeabilità al vapore;
- barriere al vapore → nessuna permeabilità al vapore (chiusura alla diffusione).
Queste tre tipologie si caratterizzano per range diversi di valore sd:
- teli traspiranti → sd < 0,1 m;
- freni al vapore → 1 < sd < 20 m;
- barriere al vapore → sd > 20 m.
Lo strato di tenuta al vapore, per risultare efficace, dev’essere continuo e privo d’interruzioni. Generalmente, esso coincide con lo strato di tenuta all’aria interna. Si può realizzare, tecnologicamente, con elementi/materiali di vario.
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Caso pratico: parete con cappotto esterno
Vediamo nel dettaglio il funzionamento, dal punto di vista igro-termico, della parete in
figura 2. Se, ad esempio, immaginiamo che i materiali rappresentati siano:
- laterizio forato, μ = 5,
- cappotto esterno in lana di roccia, μ = 1,
- possibilmente evitando l’intonaco plastico, poco traspirante, e prediligendo ad esempio la calce, il pacchetto funziona bene: i materiali traspirano, e sono collocati secondo la V favorevole.
E se, al posto della lana di roccia, supponiamo di mettere l’EPS, μ >/= 30? È chiaro che non stiamo più assecondando la V favorevole. Se ragioniamo anche in termini di sd, con gli spessori ipotizzati in figura 2, perveniamo alla medesima consapevolezza.
Ma questo non è di per sé sinonimo di una stratigrafia inammissibile: dovremo conferire una tenuta al vapore sull’interno, lievemente più corposa rispetto al caso in cui la V risulti favorevole. Nel caso specifico, tecnologicamente può provvedere l’intonaco.
È d’altra parte usuale riscontrare pareti in laterizio con cappotto esterno in EPS: esse di norma non risultano vittime della condensa, ciò a sostegno della nostra tesi.
In una parete come quella ipotizzata sopra, che sia stata sensatamente coibentata dall’esterno, nell’interfaccia tra laterizio e lana di roccia (supponendo si tratti di lana di roccia) la temperatura non è ancora scesa sotto 13,2°C, quindi non si rischia la condensa interstiziale (ipotizzate le “condizioni standard” introdotte prima).
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Caso pratico: parete con cappotto interno e controparete
Consideriamo invece il caso tipico di un risanamento in cui si possa posare solo cappotto interno (fig.3). Qui l’interfaccia tra isolante e parete si troverà, con molta probabilità, ben al di sotto della temperatura di rugiada. Normalmente, in questi casi, in regime invernale occorre interdire completamente l’ingresso del vapore all’interno del pacchetto: stiamo dunque parlando dell’impiego di una barriera al vapore.
Ma, a scanso d’equivoci, occorre a questo punto fare una precisazione. Il distinguo tra freno e barriera, accreditato dalla letteratura scientifica, non corrisponde necessariamente a soluzioni tecnologiche distinte, afferenti all’una o all’altra categoria in modo esclusivo.
Dal punto di vista tecnologico è infatti possibile impiegare teli igrovariabili. Come suggerito dal nome, essi sono in grado di modulare la propria permeabilità, in entrambe le direzioni, sulla base del gradiente pressorio. L’igrovariabilità è una potenzialità molto importante, per più ragioni. Eccone in sintesi alcune.
Se la logica della stratigrafia “diffondente” e della “V favorevole” risulta infatti ottimale in regime invernale, d’estate invece, essendo più fresco l’ambiente interno rispetto all’aria esterna, il gradiente pressorio tenderà ad invertirsi, con effetti tanto più pronunciati quanto più caldo è il clima esterno.
Ancora, durante la costruzione di un fabbricato è inevitabile che i materiali appena posati in opera contengano un carico di umidità (proveniente dalle malte impiegate, o anche solo acquisito durante lo stoccaggio) che sarà opportuno possano smaltire. In casi di questo tipo, la presenza di una barriera al vapore sul lato interno del pacchetto costruttivo risulta assai rischiosa, impedendo al vapore di abbandonare la stratigrafia stessa permeando all’interno (da dove è facile rimuoverlo, anche semplicemente con un’efficace ventilazione naturale notturna).
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La presenza di un sistema igrovariabile, rispetto ad una barriera “pura”, consente di beneficiare di una barriera durante l’inverno, e di un telo traspirante durante l’estate, il tutto nel medesimo elemento tecnologico, evitando quindi i rischi, specie estivi, connessi all’impiego di quella che abbiamo definito una barriera “pura”.
Dove si faccia uso di una barriera al vapore, è particolarmente raccomandabile l’integrazione di un sistema di VMC (scelta normalmente indicata in tutti i casi in cui si voglia realizzare un edificio efficiente): quest’ultima provvederà costantemente a ventilare l’ambiente e quindi a rimuovere l’eccesso di vapore acqueo.
Lo strato di tenuta al vapore spesso può coincidere con un altro strato fondamentale: la tenuta all’aria interna.
A che cosa serve?
- A ridurre le dispersioni energetiche per ventilazione “involontaria”;
- a garantire un buon funzionamento della ventilazione meccanica controllata, se presente;
- ad evitare la formazione di “vie di passaggio” al vapore attraverso l’involucro.
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Foto: iStock.com/Pannonia