Rieccoci al nostro appuntamento settimanale con la rassegna di sentenze in materia di edilizia e urbanistica. Fra gli argomenti oggetto delle decisioni giurisprudenziali dell’ultima settimana, questa volta segnaliamo tre sentenze tutte su una materia particolarmente delicata, spesso foriera di contenziosi fra il Comune ed i cittadini, ossia la destinazione d’uso di un’area.
Mutamento d’uso di fatto
La prima pronuncia da segnalare è la sentenza 26 gennaio 2022, n. 513, del TAR Campania, Napoli, sez. II, nella quale è stato ricordato che la destinazione di un immobile non si identifica con l’uso che ne fa in concreto il soggetto che lo utilizza (mutamento d’uso di fatto), ma con quella impressa dal titolo abilitativo, assumendo una connotazione oggettiva che vale ad individuare in modo inconfutabile ed evidente un determinato bene, “dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull’immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex se la qualificazione giuridica dell’immobile”, secondo il risalente pensiero del Consiglio di Stato [1].
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In altri termini, la destinazione d’uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale.
Cambio destinazione tra categorie diverse
La seconda decisione è la sentenza 27 gennaio 2022, n. 98, del TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, nella quale è stato ribadito [2] che il mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse (comportanti, cioè, un aggravio del carico urbanistico), anche se realizzato senza opere edilizie, necessita del permesso di costruire [3] ex art. 10, comma 1, lett. c), del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) ed è perciò suscettibile di misure ripristinatorie [4] (nel caso specifico, si era verificato l’utilizzo di un deposito in abitazione).
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Tale principio vale, ad esempio, anche per il cambio di destinazione d’uso di un sottotetto da locale di sgombero in locale abitabile, realizzato in un immobile in zona A, con inserimento di impianti (idrico, elettrico, etc.) richiesti dalle nuove esigenze abitative, pareti divisorie ed una nuova distribuzione interna [5]; per il cambio di destinazione d’uso da ufficio ad abitazione, non trattandosi di categorie edilizie omogenee [6]; per il passaggio del sottotetto termico alla diversa categoria funzionale dell’immobile residenziale [7]; per il cambio di destinazione d’uso da locali tecnici/servizi a residenziale [8] o da locale destinato a “comandi tecnici” – dunque mero vano tecnico privo di autonoma rilevanza urbanistica – ad ufficio[9]; per il passaggio da cantina-garage a civile abitazione [10] o da residenziale a turistico-ricettiva [11].
Abbiamo parlato di cambio di destinazione d’uso in numerosi articoli, li trovi qui
Ricordiamo che, secondo quanto previsto dall’art. 23-ter del Testo Unico Edilizia, le categorie funzionali sono cinque: residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale; commerciale; rurale.
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Certificato di destinazione urbanistica
Infine, il TAR Campania, Napoli, sez. VIII, nella sentenza 28 gennaio 2022, n. 605, ha ricordato che, secondo una consolidata giurisprudenza, il certificato di destinazione urbanistica, di cui all’art. 30, commi 2 e ss., del D.P.R. n. 380 del 2001, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, visto che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.
Pertanto, il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica [12].
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[1] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 26 marzo 2013, n. 1712.
[2] I giudici hanno richiamato: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 4 marzo 2021, n. 1857; sent. 18 gennaio 2021, n. 534; sez. II, sent. 12 ottobre 2020, n. 6057; cfr., con specifico riferimento alla trasformazione di un locale deposito ad abitazione, TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 1° ottobre 2020, n. 1255; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 14 settembre 2020, n. 9570.
[3] Non essendo sufficiente la SCIA: cfr. TAR Basilicata, sez. I, sent. 16 aprile 2019, n. 367; TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 8 aprile 2019, n. 1924, TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, sent. 28 agosto 2015, n. 10957, TAR Sicilia, Catania, sez. IV, sent. 12 luglio 2017, n. 1773, TAR Toscana, sez. III, sent. 13 gennaio 2015, n. 35.
[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 4 marzo 2021, n. 1857; sent. 18 gennaio 2021, n. 534; sez. II, sent. 12 ottobre 2020, n. 6057; cfr., con specifico riferimento alla trasformazione di un locale deposito ad abitazione, TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 1° ottobre 2020, n. 1255; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 14 settembre 2020, n. 9570.
[5] TAR Liguria, sez. I, sent. 15 aprile 2021, n. 341.
[6] TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 19 febbraio 2021, n. 1082.
[7] TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 3 novembre 2020, n. 4988.
[8] TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 18 settembre 2020, n. 9607.
[9] TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 9 aprile 2020, n. 1362.
[10] TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 3 gennaio 2020, n. 31; TAR Liguria, sez. I, sent. 26 luglio 2017, n. 682.
[11] TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 3 gennaio 2022, n. 3.
[12] Ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 4 febbraio 2014, n. 505; TAR Sicilia, Catania, sez. II, sent. 3 luglio 2019, n. 1696; TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 24 marzo 2016, n. 586; Brescia, sez. I, sent. 24 aprile 2012, n. 687; sent. 21 dicembre 2011, n. 1779.
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