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24 Settembre 2021

Box in legno ad uso ufficio, serve il permesso di costruire anche se su ruote

box legno su ruote permesso

Rieccoci al consueto appuntamento settimanale con la rassegna di sentenze in materia di edilizia e urbanistica. Il tema di apertura riguarda la necessità di titolo edilizio per un manufatto in legno adibito ad ufficio, anche se su ruote, e per un box in lamiera adibito a ripostiglio.

Il cardine della questione risiede nella frequenza di utilizzo delle due opere edilizie da esterno, ora la esaminiamo nel dettaglio la question. Gli altri argomenti oggetto delle pronunce riguardano invece la convenzione di lottizzazione scaduta, la natura delle osservazioni al piano urbanistico, la natura di vincolo cimiteriale e la necessità di richiesta di tutti i comproprietari dell’istanza di condono edilizio.

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Manufatto in legno e box con utilizzo continuativo, titolo edilizio necessario

TAR Toscana, sez. III, sent. 6 settembre 2021, n. 1156

Serve il permesso di costruire per un manufatto in legno, posto su ruote, adibito ad uso ufficio, e un box in lamiera ad uso ripostiglio, trattandosi di opere destinate ad un utilizzo stabile e continuativo e qualificabili come nuove costruzioni

Devono considerarsi nuove costruzioni richiedenti il permesso di costruire un manufatto in legno, posto su ruote, adibito ad uso ufficio, e un box in lamiera ad uso ripostiglio.

Per consolidato insegnamento giurisprudenziale, invero, non rilevano le caratteristiche strutturali dei beni, ma l’uso che di essi viene fatto, che deve essere realmente precario e temporaneo: è, pertanto, necessario un titolo edilizio per la realizzazione di tutti quei manufatti che, anche se non infissi nel suolo, alterino in modo stabile lo stato dei luoghi, in modo non meramente occasionale (cfr., tra le tante, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 13 novembre 2020, n. 2172).

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Convenzione di lottizzazione scaduta

Consiglio di Stato, sez. II, sent. 8 settembre 2021, n. 6234

In materia di scelte urbanistiche, nessun affidamento qualificato può derivare da una convenzione di lottizzazione scaduta

Per costante indirizzo di giurisprudenza, le scelte effettuate dall’Amministrazione nella pianificazione del territorio sono espressione di una discrezionalità talmente lata da non richiedere una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi di fondo che ispirano lo strumento, dovendosi derogare a tale regola solo in presenza di talune ipotesi del tutto particolari (val riguardo, v. Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5454; id., 12 maggio 2016, n. 1907; 24 marzo 2017, n. 1326). Le evenienze generatrici di affidamento “qualificato”, sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, vanno ravvisate solo nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione.

La giurisprudenza ha già avuto modo di soffermarsi sulla struttura e la natura delle convenzioni di lottizzazione, sulla loro durata, sull’effetto che consegue alla mancata esecuzione delle opere nei termini e, più in generale, sulla possibilità teorica che in sede di azione amministrativa possano adottarsi provvedimenti di proroga. Pur non essendo peraltro stabilito espressamente dalla legge un termine massimo di durata delle stesse, la sua individuazione è ritenuta necessaria proprio per non attribuire loro l’efficacia di condizionare a tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura. Tale termine è stato dunque mutuato dall’art. 16, comma 5, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, concernente i piani particolareggiati (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 16 marzo 1999, n. 286; T.A.R. per la Sicilia, 8 aprile 2003, n. 471). Attesa infatti la natura normalmente alternativa che nella pianificazione urbanistica assume il piano di lottizzazione rispetto al piano particolareggiato, si ritiene applicabile anche al piano di lottizzazione il termine decennale di efficacia dall’approvazione di cui al richiamato art. 16 della l. n. 1150 del 1942 (tenuto conto che l’art. 28 della medesima legge prevede soltanto che la convenzione di lottizzazione fissi i termini, non superiori a dieci anni, entro i quali deve essere ultimata l’esecuzione delle opere convenzionate).

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È, tuttavia, pacifico in giurisprudenza che i piani attuativi accompagnati da convenzione si considerano scaduti allo scadere della convenzione. Ove detta convenzione non venga rinnovata, l’ambito già assoggettato a piano attuativo può essere oggetto di nuove scelte pianificatorie alla stregua di qualunque altra parte del territorio comunale. L’inefficacia collegata alla scadenza dei termini dei piani attuativi e degli strumenti urbanistici che ne condividono la natura (quali i piani di lottizzazione ed i piani di zona per l’edilizia economica e popolare) è un effetto di legge che, al contrario di quanto opinato nel ricorso di primo grado, si produce automaticamente, con la conseguenza che la convenzione di lottizzazione scaduta e rimasta in parte inattuata non può vincolare i successivi strumenti urbanistici generali (ex ceteris, Cons. Stato, sez. II, 2 marzo 2020, n. 1485; sez. V, 1 febbraio 2019, n.809).

Ovviamente dunque, per configurarsi valide aspettative qualificate è necessario che gli accordi urbanistici siano vigenti, al momento dell’approvazione del nuovo strumento urbanistico, non essendo «configurabile alcuna posizione di legittimo affidamento, a fronte di convenzioni urbanistiche scadute, per di più, se non hanno avuto esecuzione, non producendo effetti e non abilitando la trasformazione urbanistica del territorio ma soprattutto, non variando le aree di proprietà» (cfr. ancora Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 2017, n. 3237). In mancanza di esse, non è configurabile alcuna aspettativa “qualificata” ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un’aspettativa “generica”, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri ad un’utilizzazione più proficua dell’immobile (posizione, questa, cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione).

Sicché non può essere invocato il difetto di motivazione, in quanto si porrebbe in contrasto con la natura generale dell’atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la sua redazione (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 15 ottobre 2020, n. 6263; sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854).

Osservazioni al piano urbanistico

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 9 settembre 2021, n. 1975

Le osservazioni presentate dagli interessati in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo

Come affermato dalla giurisprudenza consolidata, le osservazioni presentate dagli interessati in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree; con la conseguenza che, seppure l’Amministrazione sia tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può essere obbligata ad un’analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano (ex multis, T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, n. 1371/2017; id., n. 761/2017; T.A.R. Toscana, Sez. I, n. 1317/2016).

Natura del vincolo cimiteriale

TAR Toscana, sez. III, sent. 6 settembre 2021, n. 1157

Il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege ed integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto e con efficacia direttamente conformativa che opera di per sé

Per consolidato insegnamento giurisprudenziale, il vincolo previsto dall’art. 338 del r.d. n. 1256/1934 determina una situazione di inedificabilità ex lege ed integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto e con efficacia direttamente conformativa che opera di per sé, indipendentemente dal suo recepimento negli strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti.

Tale vincolo, peraltro, si impone alla pianificazione comunale, anche modificando eventuali previsioni contrastanti contenute negli strumenti urbanistici (cfr., tra le tante, T.A.R. Toscana, sez. III, 31 dicembre 2020, n. 1763; T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 12 agosto 2019, n. 1140).

Dispone inoltre l’art. 338, comma 5 del r.d. n. 1265/1934, come sostituito dalla l. n. 166/2002, che “Per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell’area, autorizzando l’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre”.

Orbene, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, proprio anche di questa Sezione, i molteplici interessi pubblici sottesi all’imposizione di tale vincolo – costituiti da esigenze di natura igienico-sanitaria, di tutela della sacralità dei luoghi e di mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale – consentono all’ente locale, nell’esercizio del proprio potere pianificatorio, di ridurre la fascia di rispetto solo per la realizzazione di opere di interesse pubblico.

Ed invero, “la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nel quinto comma dell’art. 338, norma eccezionale e di stretta interpretazione che non presidia interessi privati e opera in relazione a specifiche domande edificatorie, nel senso che l’autorizzazione eventualmente rilasciata è frutto di una valutazione caso per caso e non può mai costituire la base legale di un’autorizzazione a costruire in futuro nella fascia di rispetto (cfr. Cons. Stato, IV, n. 4656/2017, cit., e i precedenti ivi richiamati)” (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 8 luglio 2019, n. 1045).

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Condono edilizio, necessaria la richiesta di tutti i comproprietari

TAR Toscana, sez. III, sent. 6 settembre 2021, n. 1161

L’istanza di rilascio del titolo edilizio, anche in sanatoria, deve provenire da tutti i soggetti con un diritto di proprietà sull’immobile

L’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 esige che l’istanza di rilascio del titolo edilizio, anche in sanatoria, provenga da tutti i soggetti con un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di accordo fiduciario tra i vari comproprietari (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2021, n. 2985; id., 7 settembre 2016, n. 3823).

Il consenso dei comproprietari non può, evidentemente, essere presunto sic et simpliciter.

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Immagine: iStock/Baloncici

Fonte: EdilTecnico

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