Due recenti sentenze, pubblicate nei giorni scorsi, ci offrono lo spunto per analizzare l’abuso edilizio su suolo pubblico, fattispecie disciplinata dall’art. 35 del Testo Unico Edilizia[1].
La citata disposizione dispone che, qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni statali, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile[2], ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo.
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Come ricordato dal TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, nella sent. 27 marzo 2023, n. 524, detta norma va interpretata “con particolare rigore, in quanto l’abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L’art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l’approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto”[3].
Nel caso dell’art. 35, secondo i giudici catanzaresi, il potere ripristinatorio è esercitato nell’ambito delle competenze in materia di governo e di sviluppo del territorio sempre a tutela del patrimonio pubblico, tra i quali rientra anche il demanio.
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Similmente, il TAR Campania, Napoli, sez. VI, nella sent. 20 marzo 2023, n. 1724, ha ricordato che, come già precisato dal Consiglio di Stato[4], “Nell’ipotesi di illecito edilizio realizzato su suolo pubblico, l’art. 35 d.P.R. n. 380/2001 prevede come unico rimedio sanzionatorio l’ordine di demolizione, dovendosi interpretare la relativa disposizione con particolare rigore, in considerazione del fatto che l’abuso è commesso ai danni di suolo pubblico”.
Le conseguenze di ciò sono state limpidamente evidenziate dalla giurisprudenza, secondo cui “L’art. 35 del d. P. R. n. 380/2001, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti abusivi da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza neanche l’approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto. Attesa la ridetta natura vincolata dell’atto, il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell’abuso e l’adozione del provvedimento repressivo non refluisce in un più stringente obbligo motivazionale circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla ingiunzione di demolizione”[5].
La disciplina di cui all’art. 35, differente rispetto a quella ordinaria dettata dall’art. 31 e che non prevede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, quindi, trova la propria giustificazione nella peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici. A ciò consegue, fra l’altro, che la norma non lascia all’ente locale alcuno spazio per valutazioni discrezionali, una volta accertata la realizzazione di interventi eseguiti in assenza o in totale difformità del permesso di costruire su suoli demaniali, che impone di ordinarne la demolizione a cura del Comune e a spese del responsabile dell’abuso. In altri termini, una volta accertato il carattere abusivo dell’opera ai sensi degli artt. 31 e 35, T.U. Edilizia, il provvedimento di ingiunzione alla rimozione del manufatto si configura per l’Amministrazione come atto dovuto e vincolato, come previsto dal comma 2 dell’art. 31, T.U. Edilizia, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario dare notizia dell’avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto[6].
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[1] DPR n. 380/2001.
[2] Secondo il TAR Liguria, sez. II, sent. 17 gennaio 2023, n. 17, “L’ordine di demolizione è legittimo anche se emanato in assenza della previa diffida prevista dall’art. 35, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 nel caso si opere realizzate su suoli demaniali in assenza del permesso di costruire o in totale o parziale difformità: la diffida risponde allo scopo di consentire che il privato possa adempiere spontaneamente, sicché la sua mancanza non inficia la validità dell’ordinanza di demolizione degli abusi realizzati su suolo pubblico allorché non risulti che il soggetto interessato abbia eseguito spontaneamente la demolizione ovvero che intenda farlo. La giurisprudenza amministrativa ha anche precisato che, stante la mancata indicazione da parte del legislatore di un lasso temporale minimo tra i due atti, alla diffida può seguire immediatamente l’ordinanza di demolizione senza che il destinatario possa trarre alcun beneficio dalla sua preventiva notificazione né alcuna concreta lesione dalla sua mancanza (Cons. Stato, sez. II, 5 luglio 2019, n. 4662; id., sez. VI, 31 maggio 2017, n. 2618)”.
Cfr. anche TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 3 novembre 2022, n. 1940, secondo cui: “Come più volte affermato dal Consiglio di Stato, è legittimo il provvedimento sanzionatorio che contenga in sé anche la diffida, posto che il primo comma dell’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001 non indica un lasso temporale minimo tra il primo e la seconda, con la conseguenza “che alla diffida può seguire immediatamente l’ordinanza di demolizione senza che il destinatario possa trarre alcun beneficio dalla sua preventiva notificazione né alcuna concreta lesione dalla sua mancanza” (Cons. Stato, Sez. II. 5 luglio 2019, n. 4662; Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 2017, n. 2618). Tale conclusione deriva dal fatto che, in base all’art. 35, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, la demolizione viene effettuata direttamente dal Comune a spese del trasgressore. La diffida, quindi, serve unicamente a consentire al privato di provvedere da sé alla demolizione, così evitando l’addebito delle spese sostenute dall’ente locale. Di conseguenza, la diffida contenuta nello stesso ordine demolitorio non contravviene allo spirito della norma, poiché attribuisce al privato un termine per provvedere in proprio prima dell’intervento pubblico”.
[3] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 1° ottobre 2020, n. 1534.
[4] Consiglio di Stato, sez. VII, sent. 21 ottobre 2022, n. 8987.
[5] TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, sent. 13 ottobre 2022 , n. 678.
[6] TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 5 ottobre 2020, n. 4266.
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